Vesta Aeterna

Da DecArch - Decorazione architettonica romana.
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F. CAPRIOLI, Vesta Aeterna: L'aedes Vestae e la sua decorazione architettonica, Roma 2007.
Sono sintetizzati di seguito i seguenti capitoli: Introduzione per uno studio della decorazione architettonica della città di Roma: Linee per una storia degli stili di età imperiale (11-22); Linee per una storia degli studi della decorazione architettonica (23-32). L'edificio, la decorazione architettonica: Tipologia degli elementi decorativi (107-109). Conclusioni (281-294).

Introduzione per lo studio della decorazione architettonica nella città di Roma

Il capitolo riguarda le acquisizioni nello studio della decorazione architettonica dei monumenti romani degli ultimi decenni[1], caratterizzata in particolare dall'inquadramento della decorazione architettonica (Bauodekoration) nel campo della cultura materiale, accantonandone gli aspetti stilistici,: lo studio tipologico è considerato inseparabile dall'analisi formale.

Linee per una storia della decorazione architettonica di epoca imperiale

Capitello corinzio di lesena dall'aula del Colosso nel foro di Augusto

Il primo monumento di rilievo è il foro di Augusto: Helimeyer[2] vi riconobbe i primi capitelli corinzi normali romani, ispirati a forme greche (Olimpeion di Atene), il cui tipo si diffuse in occidente e si distingue dagli esemplari di tradizione ellenistica diffusi in ambito orientale, che diedero luogo ai capitelli di tipo asiatico. Anche negli altri elementi si evidenzia un'armonica visione d'insieme, sia nella successione delle modanature che nei temi decorativi (kyma ionico con ovuli piccoli, sgusci a nastro obliquo e lancette con costolatura centrale a spigolo; dentelli senza elementi intermedi o con sbarretta; kyma lesbio trilobato con archetti allungati dal nastro concavo, separati da fiori a tulipano e con elemento interno a foglia lanceolata; kyma lesbio continuo con archetti a superficie rigonfia e profilo sinuoso). Le forme sono plastiche e armoniose, ben articolate e definite e con intaglio morbido.

Capitello del tempio dei Dioscuri a Napoli (basilica di San Paolo Maggiore)

L'armonia plastica, il gusto naturalistico, il rispetto per la gerarchia degli elementi e la chiarezza del disegno si ritrovano ancora in epoca giulio-claudia. I capitelli presentano ancora caulicoli inclinati con orlo a sezione convessa e nastri concavi di elici e volute. Le cornici hannno sottocornici più sviluppate e varianti nei motivi decorativi. Nella lavorazione si inizia ad accentuare l'uso del trapano, impiegato tuttavia solo per velocizzare i tempi e non con fini anche stilistici.

Capitello corinzio del tempio di Vespasiano

In epoca flavia i cambiamenti stilistici nella resa, indirizzata verso i contrasti chiaroscurali e gli effetti ottici più che plastici, come esito di un processo iniziato in epoca giulio-claudia, comportano inoltre anche diverse scelte nei motivi decorativi e un uso del trapano che disegna le forme su superfici appiattite[3]. Nelle foglie d'acanto dei capitelli corinzi le costolature si appiattiscono, separate da profondi solchi di trapano, che spesso, nelle foglie della seconda corona non giungono fino alla base, mentre la costolatura centrale può arricchirsi con la sovrapposizione di una "membrana vegetale" (o di una foglia di rivestimento stretta e allungata), resa con una serie di forellini o di trattini obliqui di trapano lungo i margini, e spesso presenta una sottile solcatura centrale che può giungere da sola fino alla base. La cima sporge in modo accentuato e conferisce slancio e vivacità alle superfici appiattite del resto della foglia. I caulicoli, leggermente inclinati verso l'esterno hanno steli profondamente scanalati e orlo con sepali a foglioline, il cui accostamento richiama un kyma di foglie. In generale la decorazione vegetale si fa più carica, ma gli esemplari di Roma conservano equilibrio in ragione della loro resa più raffinata, mentre quelli non urbani tendono a ripetere schemi standardizzati. La visione d'insieme è più ottica che plastica, ma gli elementi costitutivi della decorazione sono ancora riconoscibili nella loro individualità e nessuno di essi manca.

Nell'ambito dello stile flavio von Blankenhagen[4] riconobbe due tendenze stilistiche: il tempio di Vespasiano e l'arco di Tito furono considerate espressioni di uno stile più classicistico[5]. Tra i motivi scelti compaiono anthemia ricchi e pieni, kyma di foglie (Blattkymation), kyma ionico con freccette tra gli sgusci e, nei capitelli, netto stacco della parte centrale della foglia rispetto allo sfondo del kalathos. Uno stile differente ("stile corrente") è invece presente in cornici e capitelli della domus Flavia del Palatino ed è caratterizzato dalla perdita di gerarchia dei diversi elementi ornamentali (negli anthemia sulle sime delle cornici i calici e i tralci intermittenti vegetalizzati diventano gerarchicamente equivalenti e nei capitelli la foglia si appiattisce ulteriormente) e dal noto horror vacui[6], che spinge a riempire di motivi decorativi tutti gli spazi disponibili.

Capitello corinzio dall'interno del Pantheon

Anche durante i regni di Traiano e di Adriano si mantenne la presenza di due tendenze stilistiche, derivate da quelle già presenti in nuce nell'epoca precedente: uno, che ha come modello il foro di Traiano, nel quale si epresse una nuova concezione dell'ornato che si contrapponeva a quella flavia[7], con il ritorno a forme equilibrate e plastiche, classicistiche, affidate secondo l'autrice a maestranze microasiatiche, che avrebbero creato un nuovo modello[8]: sono diminuiti i netti contrasti chiaroscurali e nell'abbandono del sovraccarico di decorazione vegetale, riproponendo motivi di origine augustea, come il kyma ionico con lancette. Nei capitelli le scanalature delle foglie sono meno profonde e si incurvano leggermente, perdendo la rigidità rettilinea, e arrivano fino alla base nelle foglie della seconda corona, ma rimangono nettamente staccate dallo sfondo del kalathos. I caulicoli perdono le profonde scanalature, ma restano sottili, perdendo la loro funzione tettonica di sostegno dell'abaco. La stilizzazione degli elementi vegetali li differenza comunque dal naturalismo augusteo, secondo il gusto della nuova epoca, in cui, secondo l'autrice, confluirebbero influssi orientali. Le stesse caratteristiche si ripresentano nei capitelli del rifacimento adrianeo del Pantheon.

In epoca tardo-adrianea è individuabile la presenza a Roma di maestranze microasiatiche, già riconosciuta dallo Strong[9]. manifestata nella diversa articolazione compositiva delle decorazioni sugli elementi architettonici, con una resa che prevedeva un minore uso del trapano, a cui si aggiunge la presenza dello stesso disegno nei particolari decorativi presente in monumenti microasiatici come il Traianeum di Pergamo[10]. In base al suo studio dei capitelli microasiatici il Rohmann[11] ha individuato un'officina pergameno-efesina che fu attiva anche a Roma, con l'invio di modelli e di artigiani.

Nella successiva parte del II secolo, nell'ambito dei capitelli della corrente classicistica, si manifestarono due tendenze: la prima con forme riprese da modelli precedenti, ad opera di maestranze spesso orientali, ha prodotto capitelli classicistici con la scanalatura centrale della foglia della seconda corona che giunge fino alla base del kalathos, come nell'Hadrianeum. Vi si affianca il fenomeno della diffusione dei capitelli corinzi asiatici ad acanto spinoso[12].

Capitello corinzio di lesena sul tempio di Antonino e Faustina

Una seconda tendenza di questa corrente classicistica si riscontra in esemplari di capitelli con disegno più schematico e semplice, ed elegantemente e raffinatamente freddi, privi di influssi asiatici, come nel tempio di Antonino e Faustina. Lo stile più corrente si manifesta in esemplari che mantengono i modi di lavorazione tipicamente flavi, ma con soluzioni convenzionali e schematiche, per corrispondere ad una maggiore velocità di lavorazione. Vi si mescolano motivi propri di diversi modelli, quasi sempre con resa meno raffinata (capitelli della villa di Adriano a Tivoli, di Anzio, o nel Capitolium di Ostia).

In epoca antonina inizia la diffusione dei capitelli asiatici con acanto spinoso, che compaiono negli esemplari delle terme del Foro di Ostia, opera di maestranze asiatiche itineranti.

La decorazione dell'epoca di Marco Aurelio è analizzabile per mezzo di elementi architettonici dagli ustrina imperiali e dal tempietto di Torrenova, pubblicati nei cataloghi del Museo nazionale romano[13], con una decorazione eclettica che mescola motivi flavi e altri derivati dalla ripresa classicistica del foro di Traiano. L'uso del trapano continuo si intensifica nell'epoca di Commodo , con la semplificazione dei modelli, il lavoro standardizzato e veloce e l'inclinazione per la resa con netti e accentuati intagli.

Sotto i Severi, come aveva riconosciuto Bianchi Bandinelli[14], si allenta la tendenza razionalistica e naturalistica che l'arte romana aveva ereditato dall'arte ellenistica. Lo stile è ancora eclettico ed anche nei monumenti ufficiali possono coesistere correnti artistiche diverse, che attingono a differenti repertori, anche nello stesso edificio. Un'officina ha lavorato all'arco di Settimio Severo nel foro Romano, all'ippodromo dei palazzi imperiali sul Palatino, al Septizonium e al restauro del portico di Ottavia. In particolare in quest'ultimo si manifesta una rinnovata attenzione per la struttura tettonica degli elementi, con ampie superfici lasciate lisce. Una seconda tendenza si manifesta nella cosiddetta flavische Renaissance individuata da von Blanckenhagen [15], propria di un'officina secondaria, che lavorò all'arco degli Argentari nel foro Boario, e caratterizzata dalla ripresa del repertorio di motivi flavi, con esecuzione poco curata. Altre tendenze sono state individuate dal Neu[16] (per esempio nella cornice dei Rostra del foro Romano), insieme ad una tendenza più conservatrice che sarebbe identificabile nel tempio di Vesta.

L'eclettismo e le semplificazioni delle diverse correnti severiane si ritrovano nelle opere dell'epoca di Caracalla: la decorazione delle sue term, caratterizzata dalla semplificazione delle forme, sarà ripresa modello per tutto il III secolo (terme di Alessandro Severo, tempio del Sole di Aureliano, basilica di Massenzio e ricostruzione del tempio di Venere e Roma).

Con l'epoca costantiniana si diffonde la pratica del reimpiego di elementi architettonici più antichi e nei pezzi di nuova realizzazione le decorazioni sono spesso copiate, a volte senza essere comprese, e con una resa ridotta e semplificata, evidenziando la tendenza alla dissoluzione della forma di tradizione ellenistica a favore di un simbolismo irrazionale che veicola una diversa concezione artistica.

Linee per una storia degli studi sulla decorazione architettonica

Nell'Ottocento gli studiosi di architettura si occuparono di decorazione architettonica principalmente per la questione dell'origine degli ordini dorico e ionico. Alla fine del secolo il Riegl[17] si occupò di tracciare una storia dei più comuni motivi ornamentali, come il kyma ionico e i kymatia lesbii, sulla base delle variazioni tipologiche. Nei premi decenni del Novecento, al Weigand [18] si deve l'individuazione delle origini del capitello corinzio, che viene riportato ai capitelli di papiro dell'architettura egizia e che è ritenuto essere giunto ad Atene attraverso l'Asia Minore[19]. Weigand si occupò di capitelli e di decorazione anche in altri volumi[20], ponendo in termini nuovi la questione dei reciproci influssi tra Oriente e Occidente e delle varie produzioni provinciali. Ancora negli stessi anni al Delbrück[21] si deve la definizione dell'architettura ellenistica in ambiente medio-italico e l'individuazione dei tipi italici del capitello ionico e corinzio.

Negli anni '30 apparvero diversi cataloghi di capitelli in singole aree regionali, classificati mediante l'analisi tipologica: tra questi quello del Kautzsch[22], che seguiva l'evoluzione del modello classico e le successive varianti introdotte nell'ambito occidentale, e quello del Kähler[23], che ricostruì l'evoluzione del capitello in area renana sulla base di esempi sporadici, messi in serie attraverso l'osservazione dei singoli elementi costituitivi dello schema decorativo. Il Deichmann si occupò sin dagli anni '40 del fenomeno del reimpiego, analizzandone le modalità[24]

Nel 1940 von Blanckenhagen[25], si occupò per primo della classificazione e dell'inquadramento dei materiali provenienti da un contesto ben datato, quello del foro di Nerva, individuando il Flavische Stil, analizzato, grazie alla sua formazione di storico dell'arte, soprattutto dal punto di vista stilistico: attraverso questo metodo lo studioso giunse a distinguere gli elementi flavi da quelli della cosiddetta "rinascenza flavia" in epoca severiana e ad elaborare il concetto di Gattungsstil ("stile di genere"), contrapposto alle differenze stilistiche esclusivamente su base cronologica. Mancava invece nell'opera uno studio tipologico del disegno dei motivi.

Negli anni '50 Toynbee e Ward Perkins[26] si sono occupati delle figure inserite nelle decorazioni vegetali, in particolare in quelle a girali (peopled scrolls), motivo di origine ellenistica poi sviluppato autonomamente nell'arte romana e che subì in seguito nuovi influssi di origine microasiatica. Nel 1953 ancora il Kähler[27] ha studiato le decorazioni dell'arco di Costantino, individuando negli elementi costantiniani l'apporto di un'officina microasiatica che aveva lavorato nel palazzo di Diocleziano a Spalato e che imitò sull'arco i modelli reimpiegati più antichi. Negli stessi anni il Kraus[28] si è occupato delle decorazioni con acanto dell'ara Pacis e dei fregi a girale del foro di Augusto, individuandone le componenti attiche, microasiatiche ed italiche che contribuirono all'elaborazione del classicismo augusteo, mentre lo Strong[29] ha trattato lo sviluppo della decorazione urbana romana dall'età augustea a quella severiana, sottolineando la rottura avvenuta in epoca tardo-adrianea, attraverso i nuovi apporti dall'Asia Minore e individuando alcuni motivi decorativi propri della tradizione romana, come l'elaborazione del tipo delle cornici con mensole. Il Wegner[30] si è occupato di materiali provenienti da edifici datati, elaborando una nuova nomenclatura per i kymatia lesbii. Agli anni '60 risale lo studio della Shoe[31], che si è occupata del profilo delle modanature lisce, esaminandone lo sviluppo e distinguendo tra i modelli greci importati a Roma nel corso del III secolo a.C. e la locale elaborazione degli esempi etruschi.

Il Leon[32] ha approfondito lo studio della decorazione architettonica romana in base alle distinzioni stilistiche individuate per mezzo della tipologia sia dei diversi elementi decorativi, sia delle modanature decorate, distinti in tipi canonici e non canonici. Secondo l'autrice il limite dell'opera consiste nella mancata distinzione tra lo stile più aulico da quello più corrente che coesiste con lo stile ufficiale[33]. Viene inoltre rimarcato l'utilizzo ambiguo del termine Typus, utilizzato sia per i temi decorativi, sia per le loro suddivisioni tipologiche. L'autrice nota infine che ciascuna variante dei motivi è inserita in un ben preciso ambito cronologico, dato che l'analisi si svolge su contesti ben datati, ma se può essere utilizzata per l'individuazione delle maestranze, non dovrebbe esservi invece attribuito un significato datante.

Nello stesso periodo Heilmeyer [34] ha analizzato in maniera ampia i capitelli corinzi "normali" provenienti da edifici datati, con ciascun tipo analiticamente descritto e analizzato stilisticamente, e giungendo in tal modo al riconoscimento dei reciproci influssi tra i diversi centri di produzione e dei movimenti delle maestranze. In particolare, in ambiente microasiatico viene riconosciuta la presenza di due scuole, quella pergameno-efesina (Traianeum di Pergamo, biblioteca di Celso ad Efeso, porta e biblioteca di Adriano ad Atene e tempio di Venere e Roma a Roma) e quella di Afrodisia, diffusa tramite le maestranze itineranti provenienti dalle sue cave (terme di Faustina a Mileto, tempio di Serapide a Efeso, esedra di Erode Attico a Olimpia, terme del Foro di Ostia), alle quali si aggiungono officine minori, impiegate in progetti locali (templi di Zeus ad Aizanoi e a Euromos, teatro di Aspendos), e maestranze influenzate dalla Siria (Perge).

Lo studio dei capitelli è stato favorito dalle possibilità di seriazione di questi elementi, anche quando non sicuramente appartenenti a complessi datati, possibilità determinata dalla presenza di precise variazioni formali e nell'uso del trapano, e dalle variazioni nella resa della foglia d'acanto, che mantiene nel tempo costanti le linee generali del suo disegno: in questo ambito a Pensabene[35] si deve lo studio e la suddivisione tipologica dei capitelli di Ostia antica.

Il Gros[36] si è occupato dell'architettura sacra di epoca augustea e del suo linguaggio architettonico, e von Hesberg[37] delle origini delle cornici con mensole, elaborate in età augustea da precedenti ellenistici, dei quali si segue lo sviluppo in ambito mediterraneo, individuando inoltre la sostanziale autonomia delle elaborazioni italiche di epoca repubblicana.

Nell'ultimo decennio del XX secolo gli studi tedeschi si orientano sia sul tema del collegamento tra la decorazione e i programmi propagandistici della committenza e dunque su questioni semantiche, sia su aspetti tecnici, con l'analisi stilistica, secondo il metodo già elaborato da Heilmeyer, di specifici gruppi di materiali (Mathea Förscht[38] sulle decorazioni vegetali, Schörner[39] sui fregi a girali, Gans[40] sui capitelli corinzieggianti, Mattern[41] sulle cornici). Secondo l'autrice il limite di queste ricerche si manifesta nel fatto che non tutte le classi di materiali permettono di individuare fasi cronologiche in base al mutamento dei modi di lavorazione, che nel capitello sono aiutati da un'iconografia sempre uguale e dunque con una maggiore visibilità del segno tecnico. Se si arrivano a ignorare le considerazioni tecniche, che consentono di inserire gli esemplari nel quadro della cultura materiale del tempo, si rischia di attribuire datazioni basate esclusivamente su argomenti tipologici (come per la datazione del Mattern della cornice dell'arco di Domiziano sul Palatino all'epoca severiana).

Nell'analisi tipologica dei capitelli microasiatici di Rohmann[42], con un'approfondita ricerca sui particolari decorativi di un gruppo di materiali standardizzati, si giunge a definire scuole affini e si individua l'attività delle maestranze pergameno-efesine che avevano esportato modelli e artigiani a Roma. La tendenza di questi studi è quella di svincolare lo studio tipologico dalla valutazione cronologica, che resta affidata al contesto stratigrafico o monumentale, o alle notizie delle fonti storiche ed epigrafiche: capostipite ne è stato il Freyberger[43], che nel suo studio dei capitelli urbani da Domiziano ad Alessandro Severo, distingue, attraverso precisi particolari deorativi (abaco, costolatura centrale e fogliette della foglia, stelo e orlo dei caulicoli, calicetto) due principali modelli (Grundmüstern), dell'epoca di Domiziano e dell'epoca traiano-adrianea: attraverso la suddivisione tipologica si possono raggruppare esemplari anche di epoche diverse e tracciare dunque una storia stilistica di ciascuno di essi; manca tuttavia l'inserimento in questo quadro evolutivo degli esemplari invece sporadici. La rinuncia a qualsiasi datazione su base stilistica e il riferimento ai soli dati cronologici forniti da altri elementi, secondo l'autrice rischia tuttavia in alcuni casi di portare a delle considerazioni erronee (come nel caso della datazione in età adrianea di tutti gli elementi del ninfeo F3 di Perge in base ad un'iscrizione che data una delle fasi del complesso[44], o della datazione augustea del tetrapilo di Laodicea in Siria in base ad una particolare fonte[45]). Parallelamente, sempre secondo l'autrice, la datazione su basi stilistiche comporta un elevato grado di inaffidabilità, per la difficoltà di distinguere varianti stilistiche determinate da diverse cronologie o semplicemente da mani o maestranze diverse.

Osservazioni aggiunte

La specializzazione sempre maggiore degli studi ha comportato anche nel campo della decorazione architettonica approcci di tipo di diverso, che di volta in volta mettono a fuoco aspetti differenti di questa classe di materiali. La sua caratteristica di rappresentare contemporaneamente una parte costitutiva di un oggetto architettonico, e parallelamente di essere un oggetto di scultura, prevede già in partenza che i frammenti o gli elementi possano essere studiati sia nell'ambito dell'architettura di un edificio o di un complesso monumentale, ovvero dal punto di vista, decorativo e scultoreo. Per quest'ultimo aspetto vanno presi in considerazione diversi elementi, che vanno dalla scelta dei motivi decorativi, con le loro proporzioni reciproche nell'insieme del profilo del blocco, alla scelta del disegno dei singoli motivi e infine alla loro resa. Ciascuno di questi elementi dipende in misura diversa dalle tradizioni lavorative, dalla cultura e dall'abilità esecutiva delle maestranze, dalle scelte degli architetti e dalla disponibilità economica e dal gusto dei committenti, a sua volta determinato dalle mode e dalle concezioni artistiche dei diversi tempi e luoghi.

Un quadro complessivo della decorazione architettonica romana deve dunque aver presenti sempre tutti questi aspetti, anche se i dati disponibili consentono l'approfondimento di volta in volta di alcuni di essi e non di altri. Anche i confronti, utili per l'inquadramento nel loro contesto di elementi non altrimenti databili, sono efficaci solo se tengono conto contemporanemente dei profili, dei disegni dei motivi e della loro resa.

In particolare, come sottolinea correttamente l'autrice, sembra che un'analisi puramente tipologica del disegno dei motivi (l'andamento più o meno inclinato di un caulicolo, la disposizione delle fogliette e dei lobi nella foglia d'acanto, o lo schema di un anthemion) sia insufficiente di per sè solo a definire uno stile decorativo: la ripresa a Roma di motivi flavi in epoca severiana si distingue correntemente dai modelli più antichi, soprattutto nel caso di frammenti decontestualizzati, in base alla diversa tecnica esecutiva (sottolavorazione e modulazione delle superfici) che determina insieme alla scelta dei disegni lo stile decorativo. Lo stesso vale per la ripresa di motivi augustei nel foro di Traiano, dove la tecnica esecutiva e lo stile della resa scultorea proseguono quello delle decorazioni tardo flavie prodotte dalle medesime officine, differenziandosi nettamente dal suo modello.

L'edificio: la decorazione architettonica

Tipologia degli elementi decorativi

Il capitolo riguarda la classificazione dei motivi decorativi utilizzati nell'edificio (temi decorativi distinti in tipi, con caratteristiche formali comuni, e in sottotipi, in base alla resa stilistica e alla fedeltà al modello[46]. L'autrice fornisce questa condivisibile definizione: "La forma è l'idea del motivo decorativo (il suo disegno), mentre lo stile è invece la messa in pratica di quelle caratteristiche teoriche, determinata dal lavoro artigianale. Nella pratica comunque il sottotipo può rappresentare di fatto una scelta interpretativa del modello o una sua traduzione. La presenza di questi sottotipi introduce nell'analisi un elemento cronologico e una possibile attribuzione a mani diverse. Le officine sono identificabili in base al loro stile, determinato dalla riproduzione di specifici schemi decorativi (successione di modanature) insieme ad una resa e ad un uso degli strumenti altrettanto caratteristici. In tutte le forme espressive si procede tramite un prototipo, a cui segue un'imitazione o un'emancipazione da questo, tramite la manifestazione di esigenze tutte differenti, espressioni più o meno eloquenti di un lasso di tempo definito. Nella decorazione architettonica si affiancano a questo fenomeni di conservatorismo o di revival di tradizioni precedenti.

Nello studio si presenta di seguito la catalogazione delle modanature decorate presenti nei diversi elementi conservati, una descrizione tipologica e un catalogo dei frammenti reinseriti in situ nella ricostruzione degli anni '30, ovvero sparsi nei pressi del monumento, o ancora conservati nei depositi.

Cornice con mensole in situ nella ricostruzione del tempio di Vesta
Fregio-architrave in situ nella ricostruzione del tempio di Vesta
Frammento del coronamento dei piedistalli
Decorazione del podio, frammenti di lastre di rivestimento con incorniciature decorate e di zoccolo del podio in situ nella ricostruzione del tempio di Vesta
Frammenti del soffitto con cassettoni della peristasi dal tempio di Vesta

Conclusioni

Nelle conclusioni si evidenzia come l'esame a tappeto dei frammenti conservati evidenzi chiaramente la presenza di disuguaglianze nella resa delle modanature decorate, con pezzi-modello ed altri copiati da questi. Il rapporto modello copia è in particolare evidente nei blocchi frammentari della cornice con mensole della trabeazione principale conservati presso la Regia (catalogo 185 e catalogo 186), il primo dei quali presenta una resa più appiattita, priva di spazi profondamente intagliati tra gli elementi delle modanature. Simili differenze di esecuzione e semplificazione del disegno si riscontrano anche nel confronto tra i diversi frammenti della fascia con bucrani (in modo particolarmente evidente tra i frammenti catalogo 45 e catalogo 51)[47]. Solo i blocchi del soffitto cassettonato della peristasi si presentano tra loro omogenei.

Cornice con mensole dal tempio di Vesta, catalogo 186
Cornice con mensole dal tempio di Vesta, catalogo 185
Confronto tra le modanature decorate degli elementi di cornici con mensole 186 a sinistra e 185 a destra
Secondo l'autrice il blocco frammentario catalogo 185, a destra, presenterebbe resa più appiattita e spazi intermedi meno profondamente intagliati.

Il repertorio dei motivi mescola elementi di tradizioni diverse: il kyma ionico con freccette, l'uso abbondante del kyma lesbio continuo e l'uso dell'astragalo a sole perline, tra le fasce superiore e intermedia dell'architrave, sono considerati motivi di origine flavia, mentre l'impiego della corona liscia e i dentelli con sbarrette, appartengono allo stile classicistico del II secolo dipendente dal foro di Traiano: si tratta dunque di uno stile eclettico[48]. Anche la lavorazione del fregio, con oggetti raffigurati a bassorilievo e con prevalenza di superfici lisce, e le proporzioni delle fasce nell'architrave, sembrano riferibili allo stesso ambito.

Capitelli corinzi di colonna del tempio di Vesta, in situ (cataloghi 127 a sx e 125 a dx)

I capitelli, con numerose parti non finite e con una resa appattita e sciatta degli elementi decorativi appartengono ad un insieme con elementi di derivazione ancora flavia e caratterizzati dalla semplificazione delle forme, diffuso nel II secolo avanzato e sono confrontabili con esemplari da villa Adriana e con uno della basilica Emilia.

Il conservatorismo delle decorazioni, probabilmente influenzato anche da ragioni cultuali, è confermato anche per la presenza di fusti di colonna rudentati invece che scanalati (come di consueto negli edifici sacri). Il podio, con i piedistalli sporgenti, si ritrova anche nel trofeo delle Alpi a La Turbie, di epoca augustea, con una simile decorazione con candelabri vegetali. Il desiderio di conservare la forma dell'edificio si manifesta anche nei numerosi restauri, testimoniati dalle tracce presenti diffusamente in particolare nei fusti e nei capitelli. Anche l'uso di marmo lunense testimonia probabilmente il desiderio di conformarsi al modello originario dell'edificio, anche in un'epoca in cui questa varietà di marmo bianco non era più utilizzata.

Dalle fonti siamo a conoscenza di due incendi che danneggiarono l'edificio, e ai quali dovettero seguire ricostruzioni e restauri: il grande incendio neroniano del 64 d.C. e un secondo sotto Commodo nel 191. Le monete che riproducono il tempio possono testimoniare interventi sull'edificio per l'epoca di Domiziano, di Traiano, di Settimio Severo. La decorazione architettonica conservata del tempio era stata generalmente attribuita ad una ricostruzione dei primi anni di Settimio Severo, ma un'ipotesi la attribuiva all'epoca traianea, con un restauro severiano limitato ai capitelli. Certamente si è trattato comunque di un'officina secondaria, che seguiva lo stile corrente e non quello dei grandi cantieri imperiali contemporanei, come si verifica anche per alcune decorazioni di villa Adriana o per il portico del Capitolium di Ostia. Un legame con l'edificio è dimostrabile anche per Antonino Pio (chiamato "secondo Numa" per la sua opera di rivitalizzazione degli antichi culti tradizionali della città).

L'ultima ricostruzione dell'edificio, datata su queste basi ad epoca adrianea o più probabilmente tra Antonino Pio e Marco Aurelio[49] fu in seguito integrata e completata da successivi restauri: in particolare possono essere attribuiti al restauro severiano i blocchi del soffitto della peristasi, mentre ad interventi ancora successivi possono essere attribuiti le numerose copie di restauro evidenziate dalla differenze nei particolari del disegno delle modanature e nella loro resa, appiattita e semplificata.

Note

  1. Per ripercorrere la storia di questi studi in generale fino al 1985 vedi Storia degli studi in questo sito.
  2. W. D. HEILMEYER, Korintische Normalkapitelle. Studien zur Geschichte der römischen Architekturdekoration, (Römische Mitteilungen, suppl. 16), 1970, 22 e ss.
  3. La perdita di naturalismo delle forme, esemplificata dall'appiattimento delle nervature nella parte centrale delle foglie d'acanto dei capitelli, sembra tuttavia oggi percepibile con un effetto amplificato, in seguito alla quasi costante perdita delle parti più sporgenti della foglia stessa. Nelle grandi officine imperiali, inoltre, l'accentuata sottolavorazione degli elementi decorativi, che arriva ad effetti virtuosistici, è tutt'altro che una resa semplificata e l'uso del trapano, inevitabilmente impiegato per l'intaglio degli profondi spazi sottolavorati, resta in generale poco visibile, ancora come espediente tecnico e non stilistico, mentre le superfici degli elementi vegetali (o le pieghe dei panneggi nelle sculture figurate) sono ancora raffinatamente modulate e il disegno delle decorazioni vegetali è ricco e variato
  4. P. H. VON BLANKENHAGEN, Flavische architektur und ihre Dekoration untersucht am Nervaforum, Berlin 1940, p.39
  5. Vedi anche una diversa individuazione dei gruppi di maestranze che lavorarono in epoca flavia nei monumenti di committenza imperiale secondo il Leon (C. LEON, Die Bauornamentik des Trajansforum und ihre Stellung in der früh-und mittelkaiserzeitlichen Architekturdekoration Rom, Wien-Köln-Gratz 1971, 127-143, capitolo conclusivo sul precedente flavio
  6. È interessante la citazione dell'origine dell'espressione riportata in nota, presente in Plinio, (Naturalis historia, XX)
  7. C. LEON, Die Bauornamentik des Trajansforum und ihre Stellung in der früh-und mittelkaiserzeitlichen Architekturdekoration Rom, Wien-Köln-Gratz 1971, 87 e ss.
  8. Nonostante l'attribuzione dell'opera all'architetto Apollodoro di Damasco, di origine orientale, nelle decorazioni del foro di Traiano non sembrano riscontrabili in nessun modo caratteristiche proprie della decorazione microasiatica contemporanea, né nella successione delle modanature e nelle loro proporzioni, né nel loro disegno (ripresi quasi pedissequamente dai modelli augustei), né nella loro resa (in diretta continuità con le tradizioni flavie con cui le medesime officine avevano lavorato nei precedenti cantieri dei fori di Nerva e del rifacimento traianeo del tempio di Venere Genitrice nel foro di Cesare): confronta C. LEON, Die Bauornamentik des Trajansforum und ihre Stellung in der früh-und mittelkaiserzeitlichen Architekturdekoration Rom, Wien-Köln-Gratz 1971, 83-86 (considerazioni conclusive sulla decorazione del foro di Traiano su questo sito; M. MILELLA, "La decorazione architettonica del Foro Traiano a Roma", in S. RAMALLO ASENSIO (a cura di), La decoración arquitectónica en las ciudades romanas de occidente (congresso Cartagena 2003), Murcia 2004, 55-71, con parte relativa allo stile decorativo del Foro di Traiano alle pagine 66-70, riproposta su questo sito. Nell'area archeologica del foro di Traiano si conservano due archivolti lisci (difficilmente databili dunque con precisione, ma probabilmente ancora attribuibili al II secolo), realizzati in marmo proconnesio e suddivisi in due fasce (come accade in ambito microasiatico) su uno dei lati: non c'è tuttavia alcuna certezza che gli archivolti appartengano alla decorazione forense e nel caso, riguardando forse la decorazione di un passaggio secondario di accesso ai portici da sud, potrebbero anche appartenere ad un restauro successivo alla prima realizzazione del complesso. Un altro consistente nucleo di materiali in marmo proconnesio, pertinente probabilmente al rifacimento traianeo del tempio di Venere Genitrice, presenta piccole scene figurate inserite alla base di lesene con tralci viminei, come compaiono anche nei pilastri decorati microasiatici: malgrado il possibile influsso orientale, tuttavia il loro stile, un unicum di altissima qualità, sembra pienamente inserito nel quadro delle officine imperiali urbane. Sul gioco degli influssi tra Roma e l'Asia Minore, che sembra essersi svolto in quest'epoca in senso inverso rispetto a quello ipotizzato dall'autrice, vedi V. M. STROCKA, "Wechselwirkungen der stadtrömischen und kleinasiatischen Architektur unter Trajan und Hadrian", in Istanbuler Mitteilungen (Deutsches Archäologisches Institut, Abteilung Istanbul), 38, 1988, 291-307 (sintesi).
  9. D. E. STRONG, "Late Hadrianic Architectural Ornament in Rome", in British School at Rome. Papers, 21, 1953, 118-151.
  10. L'apporto di officine microasiatiche è riconoscibile anche attraverso il diretto impiego di motivi con tipiche varianti microasiatiche, come il nastro aggiuntivo nella parte inferiore degli archetti del kyma lesbio trilobato.
  11. J. ROHMANN, Die Kapitellproduktion der römischen Kaiserzeit in Pergamon (Pergamenische Forschungen, 10), Berlin 1998, 107 e ss.
  12. Come già individuato da Heilmeyer: W. D. HEILMEYER, Korintische Normalkapitelle. Studien zur Geschichte der römischen Architekturdekoration, (Römische Mitteilungen, suppl. 16), 1970, 77 ss.: questo tipo di capitello era stato elaborato in Asia Minore e in Siria ed immediatamente giunse anche in Occidente.
  13. A. DANTI, "Ustrina di M. Aurelio", in A. GIULIANO (a cura di), Museo nazionale romano. Le sculture. I.8, II, Roma 1985, 423-433; P. PENSABENE, "Il tempietto di Torrenova", in in A. GIULIANO (a cura di), Museo nazionale romano. Le sculture. I.8, I, Roma 1985, 170-177.
  14. R. BIANCHI BANDINELLI, La fine dell'arte antica, Milano 1970, 51 e ss.
  15. P. H. VON BLANKENHAGEN, Flavische architektur und ihre Dekoration untersucht am Nervaforum, Berlin 1940, 72 e 90.
  16. S. NEU, Römische Ornament. Stadtrömische Marmorgebälke aus der Zeit von Septimius Severus bis Kostantin, Cösfeld 1972 (sintesi).
  17. A. RIEGL, Stilfragen, Berlin 1893 (traduzione italiana: Problemi di stile. Fondamenti di una storia dell'arte ornamentale, Milano 1963).
  18. E. WEIGAND, "Baalbeck und Rom. Die römische Reichkunst in ihren Entwicklung und Differenzierung", in Jahrbuch des Deutschen Archäologischen Instituts, 29, 1914, 37-91.
  19. E. WEIGAND, Vorgeschichte des korintischen Kapitells, Würzburg 1920
  20. Vedi nota 11 della Storia degli studi fino al 1985 su questo sito.
  21. R. DELBRÜCK, Hellenistische Bauten in Latium, Strassburg 1908-1912 (in particolare per la definizione dei capitelli italici: 155 ss).
  22. R. KAUTZSCH, Kapitellstudien. Beiträge zu einer Geschchte des spätantiken Kapitells im Osten vom vierten bis ius siebente Jahrhundert, Berlin-Leipzig 1936.
  23. H. KÄHLER, Die römischen Kapitelle des Rheingebietes, Berlin 1939.
  24. F. W. DEICHMANN, "Säule und Ordnung in der frühchristlichen Architektur", in Römische Mitteilungen (Mitteilungen des Deutschen Archäologischen Instituts, Römische Abteilung), 55, 1940, 114-130; IDEM, "Il materiale di spoglio nell'architettura tardoantica", in Corsi di cultura sull'arte ravennate e bizantina, Ravenna 1976, 131-146.
  25. P. H. VON BLANKENHAGEN, Flavische architektur und ihre Dekoration untersucht am Nervaforum, Berlin 1940.
  26. J. M. C. TOYNBEE, J. B. WARD PERKINS, "Peopled Scrolls: a Hellenistic Motif in Imperial Art", in British School at Rome. Papers, 18, 1950, 1 ss.
  27. H. KÄHLER, Die Gebälke des Kostantinsbogens (Römische Gebälke, II, 2,2), Heidelberg, 1953.
  28. *T. KRAUS, Die Ranken der Ara Pacis. Ein Beitrag zur Entwicklungsgeschichte der augusteischen Ornamentik, Berlin 1953.
  29. *D. E. STRONG, "Late Hadrianic Architectural Ornament in Rome", in British School at Rome. Papers, 21, 1953, 118-151 (sintesi).
  30. M. WEGNER, Ornamente kaiserzeitlichen Bauten Roms. Soffitten, Köln-Gratz 1957.
  31. L.T. SHOE, Etruscan and Republican Roman Mouldings (Memoirs of the American Academy in Rome, 28), 1965 (preceduto da Profiles of Greek Mouldings, Cambridge (Massachusetts) 1936, e da Profiles of Western Greek Mouldings, Rome 1952).
  32. *C. LEON, Die Bauornamentik des Trajansforum und ihre Stellung in der früh-und mittelkaiserzeitlichen Architekturdekoration Rom, Wien-Köln-Gratz 1971 (sintesi dei capitoli conclusivi).
  33. Va tuttavia rilevato che l'opera è incentrata sul foro di Traiano, monumento certamente ufficiale, e che l'inquadramento della sua decorazione architettonica è dunque comprensibilmente effettuato nell'ambito dell'arte ufficiale.
  34. W. D. HEILMEYER, Korintische Normalkapitelle. Studien zur Geschichte der römischen Architekturdekoration, (Römische Mitteilungen, suppl. 16), 1970
  35. P. PENSABENE, Scavi di Ostia VII: I capitelli, Roma 1973.
  36. P. GROS, Aurea Templa. Recherches sur l'architecture religieuse de Rome á l'epoque d'Auguste (Bibliothèque des Ecoles françaises d'Athènes et de Rome 231) Rome 1976.
  37. H. VON HESBERG, Konsolengeisa des Hellenismus und der frühen Kaiserzeit, Mainz 1980 (vedi recensioni).
  38. M. MATHEA FÖRTSCH, Römische Rankenpfeiler und -pilaster: Schmuckstützen mit vegetabilen Dekor, vornehmlich aus Italien und den westlichen Provinzen (Beiträge zur Erschliessung hellenistischer und kaiserzeitlicher Skulptur und Architektur, 17), Mainz 1999.
  39. G. SCHÖRNER, Romische Rankenfriese.Untersuchungem zur Baudekoration der späten Republik und der fruhen und mittleren Kaiserzeit im Westen des Imperium Romanum (Beitrage sur Esrschliessung helenistischer un d kaiserzeitlicher Skulptur un Architektur, 15), Mainz 1995.
  40. U. W. GANS, Korinthiesierende Kapitelle der römischen Kaiserzeit, Schmuckkapitelle in Italien und den nordwestlichen Provinzen, Köln-Weimar-Wien 1992.
  41. T. MATTERN, Gesims und Ornament. Zur stadtrömischen Architektur von der Republik bis Septimius Severus, Münster 2001
  42. J. ROHMANN, Die Kapitellproduktion der römischen Kaiserzeit in Pergamon (Pergamenische Forschungen, 10), Berlin 1998.
  43. K. FREYBERGER, Stradtrömische Kapitelle aus der Zeit von Domitian bis Alexander Severus. Zur Arbeitsweise und Organisation stadrömischenr Werkstätten der Kaiserzeit, Mainz 1990.
  44. L. VANDEPUT, The Architectural Decoration in Roman Asia Minor. A Case Study: Sagalassos (Studies in Eastern Mediterranean Archaeology I), Turnhout, 1997, 233.
  45. I. KADER, Propylon und Bogentor. Untersuchungen zum Tetrapylon von Latakia und anderen frükaiserzeitlichen Bogenmonumenten in Nahen Osten, Mainz am Rhein 1996, 34.
  46. In realtà, nella successiva presentazione della suddivisione dei motivi decorativi del tempio, questa corretta impostazione teorica sembra tuttavia applicata in modo disomogeneo: il kyma lesbio continuo e il kyma lesbio continuo vegetalizzato sono considerati tipi di una stessa forma, mentre nel kyma ionico non sembra che la divisione in tipi riguardi la presenza di lancette o freccette (suddivisione che sarebbe allo stesso "livello gerarchico" di quella tra kyma lesbio continuo e kyma lesbio continuo vegetalizzato), ma piuttosto il disegno, con punta più o meno evidenziata, della freccetta, che dovrebbe invece corrispondere ad un sottotipo, allo stesso livello, per esempio della forma più o meno aperta dello spazio a V tra gli archetti nel kyma lesbio continuo. Nella suddivisione applicata, inoltre, sembra presente una "gerarchia" a tre livelli per ciascun "tema decorativo": "tipo" (variante della modanatura), "sottotipo" (variante del disegno) e "variante" (variante nella resa), che aderisce effettivamente meglio alle caratteristiche del materiale presentato (e sembra possa essere valida in generale per questo genere di studi, certamente una proposta interessante), ma che non sembra presentata in questi termini nella premessa iniziale.
  47. Un simile confronto viene effettuato ancora anche per i frammenti che conservano la decorazione a kyma lesbio continuo vegetalizzato rovesciato della sima catalogo 220 e catalogo 2221), dove tuttavia le piccole differenze nel disegno del motivo non sembrano accompagnate da una marcata differenza di resa.
  48. Cornice con mensole di epoca flavia su via delle Tre Pile

    Un confronto vicino è individuato dall'autrice nella cornice di via delle Tre Pile, con mensole decorate da una foglia d'acanto, attribuita all'epoca adrianea "in base al contesto". L'elemento sembra invece più probabilmente di epoca flavia, come mostra l'accentuata sottolavorazione delle modanature decorate, ben al di sotto della modanatura sovrastante; appartengono invece all'età adrianea (provenienti dai portici del tempio di Adriano) l'elemento di cornice con mensole asiatica e il fregio-architrave con fascia decorata da baccellature (altri blocchi del quale sono reimpiegati nel battistero Lateranense).

  49. L'utilizzo di maestranze secondarie che applicavano lo "stile corrente", con numerose reminescenze flavie, nonostante l'importanza del tempio, dovette essere determinata, secondo l'autrice dalla contemporanea attività per altri complessi monumentali, come quello che comprendeva la colonna di Marco Aurelio e gli ustrina imperiali. Si potrebbe però forse anche ipotizzare l'utilizzo di officine di tradizione flavia anche per una voluta ripresa di motivi di quest'epoca, ripresi da una precedente ricostruzione dell'edificio in epoca domizianea, dopo l'incendio neroniano, che concorderebbe con il conservatorismo comunque manifestato anche nei successivi restauri integrativi.