La decorazione architettonica di Mactaris

Da DecArch - Decorazione architettonica romana.
Jump to navigation Jump to search
Testo pubblicato come:
Marina MILELLA, "La decorazione architettonica di Mactaris[1]", in L'Africa romana, VI, Atti del VI convegno di studio (convegno Sassari 1988), Sassari 1989, 419-429.
NB: le citazioni bibliografiche seguono le modalità comuni su questo sito e non quelle della pubblicazione; i titoli delle sezioni sono introdotti per questa versione on-line; nelle note sono aggiunti link a foto presenti on line.

Metodo e inquadramento

Per circoscrivere con maggiore precisione gli sviluppi della decorazione architettonica africana, nel suo progressivo distacco, a partire dall'età severiana, dalla tradizione urbana, sono stati considerati importanti studi sistematici sugli elementi architettonici di singole città[2]. È stata scelta per questo studio la città di Mactaris, la cui storia e la cui topografia sono sufficientemente note per merito delle iscrizioni e degli scavi[3].

Lo studio della decorazione architettonica può fornirci dati storico-economici attraverso l'individuazione di officine a carattere locale o regionale e della rete dei loro rapporti e attraverso la determinazione della quantità e qualità della loro produzione, naturalmente collegate alle possibilità economiche della committenza. Questi dati vanno poi messi in rapporto con il contesto storico della città e più in generale delle altre città delle province africane, quale è stato ben evidenziato dal Thébert[4].

Le origini (età traianea)

In età traianea Mactaris vede la creazione di una nuova area forense, cuore della nuova città romana che si andrà sviluppando per tutto il II secolo ad est della vecchia città numida[5]. Sull'arco eretto nel 116 in onore di Traiano come ingresso per il nuovo Foro, i capitelli risentono fortemente degli influssi dello stile flavio di Roma. come è visibile per le profonde solcature che animano la superficie delle foglie d'acanto e dello stelo del caulicolo, per le zone d'ombra verticali a goccia e soprattutto per la foglia dentellata che riveste la costolatura centrale[6]. Essi sono probabilmente opera in calcare locale di maestranze provenienti da Cartagine[7], dato che a Mactaris sembra mancare qualsiasi attestazione di elementi architettonici di stile urbano in epoca precedente. L'intervento di un'officina esterna, certamente di prestigio, è spiegabile con il carattere ufficiale del monumento, che, sebbene di committenza locale, doveva avere lo scopo di testimoniare la lealtà della città nei confronti di Roma e dell'imperatore.

Anche le cornici dell'arco[8] manifestano un influsso abbastanza marcato della tradizione urbana, sostanzialmente di tipo flavio: tuttavia alcuni particolari nelle modanature decorate, come l'accentuato spessore degli sgusci nel kyma ionico, la forma tozza e quadrata dei dentelli e soprattutto la riduzione della corona a semplice listello[9], denunziano già il manifestarsi del gusto locale.

Tavola I,1: Capitello corinzio probabilmente pertinente al foro traianeo (foto Patrizio Pensabene)

Un capitello probabilmente pertinente al nuovo Foro traianeo[10] (tav. I,1) e alcuni capitelli del portico del tempio di Apollo[11], di età adrianea, mostrano di aver subito l'influsso dei capitelli dell'arco. Tuttavia gli elementi vegetali sono irrigiditi e alcuni motivi sono semplificati: in particolare la foglia dentellata di rivestimento alla costolatura centrale dell'acanto è resa solo tramite un'inorganica successione di forellini di trapano. Nelle cornici con soffitto liscio del portico del tempio di Apollo[12] si manifestano ancora, in modo più accentuato che sull'arco, le tendenze del gusto locale, con la riduzione delle articolazioni tettoniche della cornice attraverso la diminuzione della sporgenza del soffitto e dell'altezza della corona, mentre una cornice proveniente dal Foro nuovo[13], simile a quelle dell'arco, conserva ancora una netta distinzione tra sopracornice e parte inferiore.

Maestranze locali dovettero lavorare alla decorazione del nuovo Foro a stretto contatto con gli artigiani provenienti da Cartagine, che lavoravano contemporaneamente sull'arco. Furono probabilmente le diverse condizioni di committenza e di destinazione dei due monumenti a determinare la differenziazione nell'impiego delle officine. Qualche anno dopo, le officine locali, che avevano assorbito a contatto con le maestranze cartaginesi tradizioni decorative di tipo urbano, prestarono la loro opera nel portico del tempio di Apollo, dove sono maggiormente visibili riduzioni e semplificazioni rispetto al modello rappresentato dalla decorazione dell'arco. Tali riduzioni sono da un lato collegabili ad un'affermazione del gusto locale, ma soprattutto sembrano suggerire una ripresa del modello da parte di maestranze non tanto meno colte, quanto condizionate dalla necessità di accellerare i processi di lavorazione per una produzione quantitativamente maggiore, in un'epoca cioé di forte sviluppo monumentale ed edilizio per la città.

La prosecuzione in epoca antonina

Tavola I,2: Capitello corinzio, giardini del Museo (foto Patrizio Pensabene)

In età antonina queste officine avevano già sviluppato un gusto definibile come "africano", in modo simile a quanto avviene in altri centri della provincia. I capitelli, sporadici, attribuibili a questo periodo, fanno parte di un gruppo diffuso in tutte le province africane, ben esemplificato in alcuni esemplari delle Terme di Antonino a Cartagine[14]. Anche a Mactaris si trovano numerosi capitelli di questa tipologia: qui si aggiunge allo schema comune anche il motivo dei caulicoli trasformati in una sorta di calice. Questo è formato dall'unione di due semifoglie frastagliate di profilo e gli spazi vuoti triangolai che separano le due foglie formano un disegno che si schematizza progressivamente nei vari esemplari, fino alla perdita del significato originario per assuere un carattere semplicemente decorativo[15]. In un esemplare (tav.I,2) troviamo inoltre la variante delle elici trasformate in viticci intrecciati fra loro, che ritornerà nella città in età severiana.

Contemporaneamente compaiono nella città architravi per lo più a due fasce, con lacunare decorato nella classica forma flavia[16], larga e con spazio semicircolare risparmiato per il fiore dell'abaco del capitello. Alcuni frammenti sono stati attribuiti ad un Capitolium costruito sotto Marco Aurelio nel 169[17], altri provengono da edicole nel tempio di Apollo[18] o nel tempio di Liber Pater[19] ed altri ancora sono sporadici[20]. I medesimi monumenti presentano anche cornici con mensole[21], in cui tuttavia la funzione di queste è puramente decorativa e non tettonica, data anche la scomparsa della corona. I motivi decorativi sono simili sia nell'architrave, sia nella cornice: la preferenza è data all'anthemion o a varianti vegetalizzate del kyma lesbio continuo. Nel kyma ionico lo sguscio è nettamente staccato dall'ovulo e affiancato da freccette.

Devono essere infine citati tre elementi di cornice, situati nell'angolo nord-est del Foro, ancora nei pressi del luogo di impiego: essi costituivano la parte superiore di un piccolo edificio esagonale, identificato con un ponderarium[22]. Il monumento è stato datato dal Picard nel II secolo: la mancanza di qualsiasi articolazione tettonica nella cornice si può in questo caso spiegare con le sue piccole dimensioni.

È interessante notare la notevole umiformità stilistica degli elementi architettonici, connessa a quella visibile nelle province africane per tutto il II secolo[23]. Infatti, riguardo alle varianti introdotte rispetto al modello urbano flavio, si può parlare, più che di variazioni locali in senso stretto, dello sviluppo di un comune gusto che possiamo chiamare "africano", il cui comune denominatore è dato soprattutto da una maggiore vegetalizzazione degli elementi canonici. Ciò sembra suggerire la presenza di officine, forse a base regionale, che indubbiamente avevano un patrimonio comune ed erano in qualche modo collegate tra loro. Una di queste, specializzata soprattutto nella decorazione di pannelli di lacunari e di fregi, poteva avere sede a Mactaris, come suggerisce l'abbondanza di questo tipo di decorazioni nella città e nei dintorni[24].

L'età severiana e il III secolo e la fioritura della produzione locale

A partire dall'età severiana si comincia ad avvertire un indebolimento della tradizione occidentale, che darà luogo, contemporaneamente, ai primi influssi asiatici nei capitelli[25] e ad un accentuato sviluppo degli elementi di tradizione "africana" a Mactaris e nelle province africane. Nei capitelli corinzi la struttura generale della foglia a ventaglio, lo schiacciamento di volute ed elici contro l'abaco e la presenza, su alcuni esemplari sporadici[26] di fogliette dal contorno ogiale, talvolta aguzzo, indicano un influsso del capitello corinzio asiatico: tuttavia la struttura generale del modello occidentale, sul quale le officine si erano formate, viene abbandonata solo molto lentamente. Non essendo presenti a Mactaris capitelli di importazione asiatica, è probabile che nuovamente questo influsso esterno sia arrivato alla città tramite la mediazione di Cartagine, nel momento iniziale dell'importazione in Africa dei capitelli asiatici[27].

Ancora più che nei capitelli corinzi, variazioni e semplificazioni locali appaiono nei capitelli compositi, mostrando in modo evidente la formazione di uno stile decorativo sempre meno fedele al modello urbano di Roma. Queste variazioni si evidenziano soprattutto nella vegetalizzazione delle volute dell'elemento ionico: le spirali sono spesso sostituite da viticci fioriti, con rosetta centrale più o meno grande[28].

Tavola II,1: Capitello composito di pilastro nella palestra delle Grandi terme di sud-est (foto Patrizio Pensabene)

I capitelli compositi di colonna e di pilastro in calcare[29] che decoravano la palestra delle Grandi terme di sud-est, datate al 199 da una dedica a Settimio Severo rinvenuta in situ all'ingresso dell'edificio[30], pur nella fedeltà al modello urbano, presentavano numerose varianti dei motivi canonici (tav. II,1): in particolare uno dei capitelli[31], di pilastro, presenta l'interessante variante della vegetalizzazione della voluta, interamente coperta, anche sui lati, dalla foglia protettiva e con rosetta al centro. È interessante considerare la grande varietà nei motivi decorativi, soprattutto sul disco delle volute, in capitelli tutti contemporanei e destinati ad un unico complesso: questo ci indica con quale libertà gli scalpellini appartenenti all'officina locale che lavorò a questo edificio potessero interpretare un modello, rispettandone soltano la struttura di base, sostanzialmente classicistica. Vanno infine notate le particolarità dell'astragalo, con perline alternate a fusarole singole sotto il kyma ionico dell'echino, e della mancanza del canale delle volute: si tratta evidentemente ancora di un'esigenza del gusto locale per la semplificazione e la trasformazione degli elementi canonici, la cui linea di tendenza sboccherà poi in un tipo di capitelli ionici non di molto posteriori (v. infra).

Anche nelle cornici contemporanee si manifesta un'accentuazione degli elementi caratteristici della tradizione africana, che si erano lentamente sviluppati già nella produzione dell'epoca precedente. La riduzione dell'articolazione tettonica, con la progressiva scomparsa della distinzione tra sopracornice e modanature inferiori, dà origine ad una cornice con profilo ormai del tutto rettilineo, mancando corona e soffitto, e con la decorazione ridotta ad una serie di modanature sovrapposte, tutte della medesima importanza e grandezza. Continua tuttavia, fino a tutta la prima metà del III secolo, la produzione di cornici conservanti l'articolazione del soffitto e della corona, sebbene ridotti, ma solo in piccoli monumenti di carattere privato, come alcuni mausolei che sorgono nei dintorni della città[32].

Tavola II,2: Cornice della palestra delle Grandi terme di sud-est (foto Patrizio Pensabene)

Nuoamente troviamo i primi esempi nella decorazione della palestra delle Grandi terme di sud-est[33] (tav.II,2), dove la cornice, in cui i motivi decorativi hanno rese leggermente diverse da un blocco all'altro, come nei capitelli compositi, è priva della corona e del soffitto. Il kyma ionico vi presenta inoltre una variante assai interessante: la superficie della parte interna dello sguscio, ampiamente visibile dietro il piccolo ovulo, è articolata verso in margine in piccole fogliette arrotondate, in modo da dare l'impressione di una larga foglia che accoglie l'ovulo liscio[34]. Come nei capitelli è visibile, dunque, il gusto per l'innovazione e l'accentuazione della vegetalizzazione dei motivi classici dell'officina che lavorò nell'edificio.

Si può forse parlare per la decorazione di queste terme severiane della creazione di cartoni originali, eseguiti però con una certa fretta da amestranze numerose e varie. Ci si può dunque chiedere nuovamente per quest'epoca quali fossero le modalità di introduzione di questi modelli nella città: si tratta di maestranze venute da fuori o, come è più probabile, di cartoni esterni copiati dai successori degli scalpellini che abbiamo visto operare a Mactaris nel periodo precedente? e da dove tali cartoni provenivano? Ancora andrebbe indagato il problema delle committenze: è possibile che una committenza pubblica abbia permesso di usufruire di maestranze specializzate di maggiore prestigio, o almeno di una collaborazione esterna. È certo comunque che, come vedremo, il modello fornito da questa decorazione fu ripreso anche in seguito a Mactaris.

Al santuario di Saturno, databile al 210, sono pertinenti otto capitelli corinzi di colonna e uno di pilastro[35] di struttura ancora classicistica, in cui ritroviamo il motivo delle elici trasformate in viticci intrecciati, già visto a Mactaris[36]. Le maestranze locali continuano ad essere identificabili in un certo appiattimento nella lavorazione e soprattutto in una certa vegetalizzazione dei motivi decorativi, secondo quella che possiamo ormai definire la tradizione africana. Si conosce anche un esemplare a foglie lisce[37], mancante dell'intaglio dei particolari negli elementi vegetali, probabilmente a causa di motivi contingenti legati alla sua collocazione nell'ambito dell'edificio. Sempre al santuario appartengono sei elementi di cornice[38], sempre prive di soffitto e corona, in cui l'astragalo e di dimensioni maggiori dei dentelli.

L'officina che lavorò a questo secondo monumento sembra più tradizionalista di quella che una decina di anni prima aveva elaborato la decorazione delle terme: pur accogliendone alcune innovazioni è priva infatti di un accentuato gusto per la novità.

Anche un frammento di cornice d'angolo, attualmente nella cosiddetta piazza severiana a nord dell'arco di Traiano, purtroppo non in buone condizioni di conservazione, sembra ispirato alle cornici delle terme, ma respingendone le innovazioni più audaci: presenta infatti la medesima successione di modanature, ma conserva i tradizionali dentelli a concludere inferiormente la cornice e manca nel kyma ionico, pur molto simile, della foglia all'interno dello sguscio.

Altri piccoli frammenti, attualmente nelle Grandi terme di sud-est, presentano invece un'ulteriore riduzione nel numero delle modanature, che può essere però dovuta alle piccole dimensioni e alla loro funzione di decorazione probabilmente non inserita in un ordine architettonico.

Tavola III,1: Cornice d'imposta dell'arco di Bab el-Ain (foto Patrizio Pensabene)

La cornice ancora in situ a metà altezza sull'arco di Bab el-Ain[39] (tav.III,1) sembra ancora rappresentare un ritorno a forme più antiche: l'astragalo torna ad assumere dimensioni proporzionalmente minori rispetto alle altre modanature, il kyma ionico presenta gli sgusci ravvicinati all'ovulo e che tendono a circondarlo completamente, i dentelli sono disposti di taglio; questi due ultimi elementi potrebbero anche costituire una ripresa di motivi dalle trabeazioni puniche, con ovuli che tendono a non distinguere un sotto e un sopra e dentelli stretti e ravvicinati, come avviene nel momento in cui la tradizione classica comincia a perdersi e gli scalpellini tendono ad ispirarsi ai monumenti del passato della città.

Come già accennato, troviamo invece un ulteriore passo nella tendenza ad eliminare e trasformare gli elementi canonici a favore di una maggiore vegetalizzazione in alcuni capitelli ionici privi di abaco e di canale delle volute e con l'echino interamente occupato da elementi vegetali. Due di questi[40], sporadici, presentano ancora nella zona sottostante all'echino una decorazione con motivi classici, che li accomuna con esemplari di Timgad[41]. In tutti gli esemplari[42] la decorazione dell'echino è costituita da due steli ricoperti da foglie che si avvolgono a spirale e terminano con rosette o con altri elementi vegetali, uniti al centro da un balteo a fascia; altri due steli si avvolgono in due identiche spirali sul disco delle volute. Il disegno sarà ripreso nella città ancora in età bizantina, ed è simile a quello visibile in un capitello composito con acanto spinoso[43] proveniente dalla palestra delle Grandi terme di sud-est, che il Lézine considera contemporaneo alla costruzione delle Terme, ma che probabilmente non appartiene alla loro decorazione originaria.

Tavola III,2: Capitello ionico senza abaco, nelle Terme ovest (foto Patrizio Pensabene)

In un esemplare in particolare[44] (tav.III,2), inoltre, il motivo sottostante all'echino consiste nella modificazione di un kyma ionico per mezzo della trasformazione degli ovuli in foglie trilobate. In un blocco che doveva costituire il coronamento di un piccolo monumento funerario[45], attualmente conservato nel Museo, la cornice comprende un kyma ionico che, per il motivo dell'ovulo sostituito da una foglia frastagliata, ricorda quello del capitello. Sul lato anteriore del blocco, una sorta di frontoncino reca un rilievo con al centro una testa la cui capigliatura è trasformata in foglie d'acanto, secondo un motivo che si ritrova a Roma in un fregio proveniente dal tempio del Sole di Aureliano[46].

I capitelli di questo gruppo, conosciuti anche in altri centri, presentano tutti almeno un motivo classico, e in nessuno di essi la vegetalizzazione si spinge fino a questo punto. Pertanto i capitelli di Mactaris sono da porre alla fine dell'evoluzione relativa del tipo individuata dal Lézine. Il medesimo autore li data, come già detto, al III secolo d.C.[47] e certamente alcuni, pertinenti al ciborio per l'altare della Basilica impiantata nelle Terme ovest, non possono essere posteriori all'epoca in cui furono reimpiegati[48], cioé al IV secolo: una tale datazione "alta" non deve tuttavia stupire, poiché è probabile che per le loro piccole dimensioni questi capitelli fossero stati originariamente impiegati soprattutto in ambito privato.

La relativa abbondanza nella città di capitelli di questo tipo rispetto a quelli degli altri centri, come Haidra e Thugga[49], e la loro maggiore distanza dal capitello ionico classico, per la presenza di motivi che ritornano anche in altri elementi architettonici di Mactaris, inducono a pensare ad una continuazione, ancora nel pieno III secolo, delle officine che avevano sviluppato una tradizione decorativa locale nella palestra delle Grandi terme di sud-est.

Sempre nel corso del III secolo inizia una maggiore frequenza nell'impiego di capitelli a foglie lisce nelle province africane[50], il cui uso può inizialmente essere stato determinato da esigenze di risparmio, ma che in seguito, spesso trasformati con l'introduzione di varianti libere, o schematizzati e impoveriti, diverranno una produzione autonoma.

Le trasformazioni nella decorazione architettonica africana, che con il III secolo vede una frammentazione in tante tradizioni locali svincolate dalla fedeltà ai modelli urbani, devono essere collegate ad un mutamento nella situazione economica. Nelle città africane si vive un periodo di stagnazione, in cui non si costruiscono nuovi edifici pubblici, senza comunque che si abbia riduzione o degrado dello spazio urbano, che continua a vivere del patrimonio del passato. Si forma pertanto una committenza meno esigente, di carattere soprattutto privato, che si rivolge ormai alle maestranze locali, ispirate dai modelli di importazione e dai precedenti monumenti della zona[51].

Stagnazione tardoantica e rinascita bizantina

La situazione di stagnazione si protrae fino alla metà del V secolo: nel corso di questo periodo la città vede solo piccoli rimaneggiamenti e restauri, mentre luoghi di culto cristiani si installano in alcuni edifici pubblici, quali templi e terme, queste ultime ormai inutilizzabili in seguito alla distruzione dell'acquedotto[52]. Tuttavia questi mutamenti di funzione sembrano dovuti più che ad un netto decadimento economico, alla trasformazione dello spazio urbano della città in seguito alla cristianizzazione: la chiesa usa i monumenti antichi, ormai privi di significato per la città, non solo per mancanza di denaro, ma per ancorarsi attraverso questi al passato. Probabilmente è questo il motivo che spinse anche al reimpiego degli elementi architettonici.

Sembra comunque che le officine di cui abbiamo seguito l'attività fino alla fine del III secolo, non producano successivamente manufatti architettonici, la cui domanda evidentemente scarseggiava.

La tradizione locale non dovette però scomparire del tutto a Mactaris, se in età bizantina vi troviamo ancora officine che rielaborano il nuovo modello di capitello, di importazione costantinopolitana, introducendovi motivi e particolari decorativi propri della tradizione locale e che potevano essere copiati dai monumenti del passato[53].

Tavola IV,1: Capitello corinzio con acanto dentellato, giardini del Museo (foto Patrizio Pensabene)

A Mactaris si trovano infatti numerosi capitelli corinzi e compositi, tutti sporadici (tav.IV,1), con l'acanto del tipo bizantino dentellato, di origine costantinopolitana e visibile nella colonna di Marciano e nella Porta d'Oro[54]. L'acanto e la zona ionica del capitello subiscono l'introduzione di piccoli particolari decorativi, riduzioni e modificazioni più o meno accentuate, nella direzione di un recupero delle caratteristiche della tradizione africana.

Tavola IV,2: Capitello composito con acanto dentellato, giardini del Museo (foto Patrizio Pensabene)

In due esemplari identici di capitelli compositi[55] (tav.IV,2) è presente un'estrema libertà nella trattazione dell'elemento ionico: l'astragalo è ingrandito fino ad assumere le stesse dimensioni del kyma ionico, mentre questo presenta ovuli sferici contenuti in sgusci che ne seguono fedelmente il contorno, non separati da freccette e privi di distinzione tra sopra e sotto. Un confronto molto simile si trova in un capitello di Cartagine, sporadico[56].

In un altro esempio composito[57], sempre sporadico, la zona ionica è interamente vegetalizzata: il motivo è chiaramente ripreso da altri capitelli di Mactaris di cui abbiamo parlato. Tuttavia si manifestano talune incomprensioni, come nell'insolita direzione da sotto in su dell'avvolgimento delle spirali e nel balteo che, invece di unire le due spirali contrapposte al centro dell'echino, inorganicamente si sovrappone appena ai loro margini. Si tratta evidentemente dell'imitazione di un modello presente nella città e corrispondente al gusto locale, ma con le tipiche incomprensioni dovute all'interruzione di una tradizione. Il medesimo motivo, con lo stesso acanto a lunghe e strette fogliette a sezione angolare, si ritrova in una mensola[58], pure sporadica, del tipo presente nelle chiese africane: mensola e capitello potrebbero aver fatto parte della decorazione di uno dei numerosi edifici cristiani della città.

Il notevole numero di questi capitelli locali di imitazione bizantina induce a credere alla presenza di una nuova officina nella città, caratterizzata da forme in genere abbastanza fedeli all'acanto bizantino e contemporaneamente, in alcuni esemplari, da una vivace rielaborazione originale, che traeva spunto dalle realizzazioni della tradizione locale. Lo stretto confronto di un esemplare di Mactaris con il capitello di Cartagine ripropone il problema dell'influsso del capoluogo nella formazione delle nuove officine. È possibile che sia avvenuta l'importazione di un modello a cui poi delle maestranze locali, forse inizialmente non specializzate nella decorazione architettonica, seppero ispirarsi.

In età bizantina conosciamo nella città la costruzione di due fortini bizantini e delle basiliche del vescovo Rutilius e di Hildeguns, con annesso battistero[59], a cui forse era destinata la produzione delle nuove officine. Sembra che ciò testimoni una certa rifioritura della città dopo che la vittoria bizantina sui Vandali e una certa prosperità economica, anche se, come in altre città africane, la vita cittadina e lo spazio urbano erano stati diversamente organizzati in funzione della trasformazione da città tradizionale a città cristiana[60].

Note

  1. Queste osservazioni si basano sull'esame di alcun pezzi presenti sulle foto delle varie pubblicazioni citate, della fototeca dell'Istituto Archeologico Germanico e su quelle gentilmente messemi a disposizione dal prof. P. Pensabene, che in questa sede ringrazio. Si è consapevoli che, mancando una visione diretta dei frammenti, non è possibile, per esempio, stabilire con sicurezza se questi fossero intagliati in marmo o in pietra locale, come sarebbe invece importante per una migliore definizione del quadro delle importazioni di pezzi architettonici già decorati. Per le città dell'interno l'importazione del marmo sembra comunque essere stata limitata alla statuaria, probabilmente a causa dei costi proibitivi del trasporto via terra dei blocchi: cfr. PENSABENE, 1972, 327-328.
  2. PENSABENE 1986, 358 e ss.; PENSABENE1989, 431 e ss.
  3. Per un inquadramento storico e topografico aggiornato della città v. MASTINO, 1984, 88 ss.; v. precedentemente PICARD, 1954; PICARD, 1957.
  4. THÉBERT 1983.
  5. M'CHAREK 1985, 213 e ss.
  6. Si conservano tre dei capitelli pertinenti all'ordine minore e uno dell'ordine maggiore: FERCHIOU 1975, p.48. Il motivo della foglia di rivestimento sopra la costolatura centrale si ritrova a Cartagine solo più tardi, in esemplari che copiano consapevolmente un modello più antico: cfr. HARRAZI 1982, 67. Troviamo però un capitello in marmo con i forellini di trapano sulla costolatura centrale nel settore nord di Utica: cfr. LÉZINE 1968, 153, nota 8, ph.84.
  7. HARRAZI 1982, 210; PENSABENE 1986, 364, 377 e ss.
  8. Si tratta di elementi con mensole intagliati in due blocchi, pertinenti all'attico, e di elementi del frontone, ancora in situ sull'arco o conservati nei pressi: GROS 1978, tav.151,1; IstNeg 64.175.
  9. Per la tendenza della decorazione architettonica africana a trasformare la articolazioni tettoniche della cornice in una successione di modanature di puro valore decorativo cfr. GROS 1978, 462-463.
  10. FERCHIOU 1975, 48; FORTUNER 1976-1978, 165; HARRAZI 1982, fig.4 dei confronti; PENSABENE 1986, fig.31,d.
  11. IstNeg 64.233. Altri capitelli sono stati attribuiti al portico del tempio di Apollo in PICARD 1968, 302, nota 1; cfr. IstNeg 64.201 e 64.204. Per un altro capitello di Mactaris con il motivo dei forellini di trapano per rendere la foglia di rivestimento v. VON MERCKLIN 1962, 116, fig.573, n.324.
  12. FERCHIOU 1975, tav.14,a e figura a p.78.
  13. FERCHIOU 1975, tav.14,a e figura a p.78; FORTUNER 1976-1978, p.165.
  14. PENSABENE 1986, 364-367, fig.25,a-c; per la diffusione del tipo derivato v. ibidem, 368-378.
  15. I capitelli sono pubblicati in PICARD 1957, tav.39,4 (lo stesso di IstNeg 64.237); PENSABENE 1986, fig.30,c; fig.29,b; IstNeg 64.202; 64.243.
  16. Cfr. ad esempio i lacunari del Foro di Nerva (WEGNER 1957, tav.12 a-b) e del tempio di Vespasiano (ibidem, tavv.4,b, 5,b).
  17. PICARD 1957, 151 e ss., tav.45,b; IstNeg 64.181e 69.1982; cfr. anche PICARD 1955-1956, 178.. Il modellato delle girali d'acanto è simile a quello di un frammento reimpiegato come pavimento nella moschea Zitouna di Tunisi (FERCHIOU 1981, 151 e ss., figg.8-9).
  18. FERCHIOU 1979, 237, fig.3: il pezzo è confrontato con un lacunare rinvenuto ad Assuras (ibidem, 237, fig.3), Pertinente all'edicola di culto di Latona è un altro framento: PICARD 1957, tav.11,a; PICARD 1968, 311 figg.14-15.
  19. PICARD 1957, 53, tavv.17-18, 19, 20,a-b. V. inoltre sulla decorazione del tempio LÉZINE 1962, 150-152; PICARD 1984, 22, nota 15.
  20. IstNeg 64.246 e 64.203; altri frammenti sono inseriti in una fontana pubblica: IstNeg 10647; PICARD 1957, tav.21,b; PICARD 1965-1966.
  21. Frammento pertinente al geison obliquo del tempio di Apollo: IstNeg 64.229; PICARD 1957, 38, tav.12,b; piccole elemento dell'edicola di Latona,ibidem tav.11,a; PICARD 1968, fig.15,a a p.311; elementi pertinenti al tempio di Liber Pater: PICARD 1957, 53; LÉZINE 1962, 150-152 e recensione di Gilbert-Charles PICARD in Revue archéologique, 1964, 181; PICARD 1968, 311, nota 2; PICARD 1984, 22, nota 15, Sporadica è una cornice che orna una fontana pubblica insieme ai frammenti di lacunari di architrave: IstNeg 10647.
  22. IstNeg 64.178; BOURGEOIS 1979-1980, 8-12, figg.2-5; PICARD 1979-1980, 135-136.
  23. PENSABENE 1986, 369 e 377; GROS 1978, 459-476.
  24. PICARD 1984, 22; cfr. inoltre FERCHIOU 1984, 122-123 per elementi di soffitti decorati derivati dai cartoni delle officine mactaritane nel Capitolium di Numlulis, presso Thugga, datato al 170 d.C.
  25. PENSABENE 1986, 376.
  26. PICARD 1957, tav.39,g; lo stesso in PENSABENE 1986, fig.33,e e tav.34,a.
  27. Per capitelli di importazione asiatica in Africa v. esempi citati in PENSABENE 1986, 309-319.
  28. PENSABENE 1986, 378
  29. PENSABENE 1986, tav.39,a e 39,b; PICARD 1957, tav.39,d; FERCHIOU 1975, 58-59, tav.1,c; lo stesso in PENSABENE 1986, tav.39,c; FERCHIOU 1975, 58-59 e PENSABENE 1986, tav.40,a ((foto di un capitello di pilastro su Flickr e altra foto di un altro esemplare).
  30. PICARD 1972, 151-152; PICARD 1974, 14.
  31. IstNeg 64.188; 64.193.
  32. Una cornice con soffitto liscio (IstNeg 64.264 e 64.265) costituisce il coronamento del Mausoleo dei Giulii, datato dalle iscrizioni al 230-240 d.C. (PICARD 1965-1966, 159; M'CHAREK 1982, 89), mentre una cornice con mensole costituisce la decorazione superiore del Mausoleo piramidale (IstNeg 64.224).
  33. IstNeg 64.187.
  34. Conosciamo un esempio di vegetalizzazione del kyma ionico a Roma in età flavia: in una cornice del tempio di Vespasiano gli sgusci sono trasformati in foglie suddivise in piccoli lobi (LEON 1971, tav.45,1).
  35. PICARD 1984, 20 e fig.9 a p.21 per il capitello, e 21 e 28 per le fasi costruttive del santuario.
  36. V. supra.
  37. PENSABENE 1986, fig.41,a.
  38. IstNeg 64.251; PICARD 1984, 21-22, fig.10 (foto con altre cornici sempre prive di distinzione tra sopracornice e modanature inferiori, su Flickr.
  39. L'arco costituisce la porta di ingresso alla città da nord ed è stato variamente datato tra l'età severiana e quella tetrarchica (FERCHIOU 1975, 8; PICARD 1971, 269) e da ultimo al III sec. d.C. (PICARD 1984, 13, nota 3).
  40. LÉZINE 1968, 161 e 167, ph. 110,E e 111,F; lo stesso PENSABENE 1986, fig.54,c.
  41. LÉZINE 1968, 164, ph. 117 e 119-121.
  42. LÉZINE 1968, ph.98-100,A, 104-106,C, 107-109,D; PENSABENE 1986, fig.54,f.
  43. LÉZINE 1968, 168; FERCHIOU 1985, 168, fig.13 a p.170.
  44. LÉZINE 1968, 168, ph.101-103,B; PENSABENE 1986, fig.54,d-e.
  45. IstNeg 64.252.
  46. TOYNBEE - WARD PERKINS 1950, 22, tav.11,3.
  47. LÉZINE 1968, 167.
  48. Cfr. però DUVAL - FÉVRIER 1972, 40: secondo gli autori tali capitelli sono sempre stati impiegati in basiliche o in case tarde e nulla proverebbe che essi siano di reimpiego: i capitelli del ciborio sono tuttavia di misure leggermente diverse tra loro, come nota LÉZINE 1968, 160.
  49. LÉZINE 1968, 159-168.
  50. PENSABENE 1986, 387-394 e per i capitelli a foglie lisce di Mactaris nota 317, figg.41,a, 43,a,c, 44,a, 50,c-d e PICARD 1957, tav.39,c.
  51. THÉBERT 1983, 119; v. anche BROWN 1974, 29-30.
  52. PICARD 1957, 128 e ss.; DUVAL 1973, 119-153; BOURGEOIS 1976, 185 e ss.
  53. PENSABENE 1986, 405-409.
  54. KAUTZSCH 1936, 47 e ss., tav.11, 156; BETSCH 1977, 193 e ss. fig.137; cfr. anche DEICHMANN - KRAMER - PESCHOW 1981, nn.360-363, 558 e altri.
  55. PENSABENE 1986, fig.49,a; IstNeg 64.250.
  56. FERCHIOU 1976, 390, tav.126,1. A Segermes è inoltre presente un capitello con acanto di imitazione bizantina con un simile motivo sulle spirali delle volute (PENSABENE 1986, 406-408, tav.50,a, con didascalia errata).
  57. IstNeg 64.244.
  58. IstNeg 64.257.59 (vedi anche foto della mensola su Flickr). Per elementi architettonici paleocristiani provenienti forse da un'officina di Tebessa v. DUVAL - FÉVRIER 1972, 43-44; v. anche CHRISTERN 1976, tavv. 48-50.
  59. Per i fortini v. PICARD 1972, 153; FORTUNER 1976-1978, 159-168 e cfr. THÉBERT 1983, 115-116; per le basiliche cristiane cfr. nota 52.
  60. THÉBERT 1983, 116 e ss.

Bibliografia e abbreviazioni

IstNeg = Negativo dell'Istituto Archeologico Germanico (numero)

  • BETSCH 1977 = William Earl BETSCH History, Production and Distribution of the Late Antique Capital in Constantinople, Ann Arbor 1977.
  • BOURGEOIS 1976 = Claude BOURGEOIS, "Les eaux de Mactaris (Tunisie)", in Karthago, 17, 1976, p.185 e ss.
  • BOURGEOIS 1979-1980 = Claude BOURGEOIS, "Archeologie de l'angle N-E du Forum de Mactar", in Bulletin archéologique du Comité des travaux historiques et scientifiques. Antiquité, Archéologie classique, 15-16, 1979-1980, 8-12.
  • BROWN 1974 = Peter BROWN, Il mondo tardoantico. Da Marco Aurelio a Maometto (edizione italiana), Torino 1974.
  • CHRISTERN 1976 = Jurgen CHRISTERN Das fruhchristliche Pilgerheiligtum von Tebessa: Architektur u. Ornamentik e. spatantiken Bauhutte in Nordafrika, Wiesbaden 1976.
  • DEICHMANN - KRAMER - PESCHOW 1981 = Friedrich Wilhelm DEICHMANN, Joachim KRAMER, Urs PESCHOW, Corpus der Kapitelle der Kirche von San Marco zu Venedig, Weisbaden 1981.
  • DUVAL 1973 = Noël DUVAL, Les églises à deux absides, II, Paris 1973.
  • DUVAL - FÉVRIER 1972 = Noël DUVAL, Paul-Albert FÉVRIER, "Le décor des monuments chrétiens d'Afrique (Algerie, Tunisie)", in Actas del VIII Congreso International de Arqueologia cristiana (convegno, Barcelona, 1969) Città del Vaticano-Barcelona 1972, 5-55.
  • FERCHIOU 1975 = Naïdé FERCHIOU, Architecture romaine de Tunisie. L'ordre: rythmes et proportions dans le Tell, Tunis 1975.
  • FERCHIOU 1976 = Naïdé FERCHIOU, "Une carriére régionale en Afrique: la pierre de Keddel", in Römische Mitteilungen (Mitteilungen des Deutschen Archäologischen Instituts. Römische Abteilung), 83, 1976, 367-402.
  • FERCHIOU 1979 = Naïdé FERCHIOU, "Trois petit jalons dans l'histoire du rinceau animé en Proconsulare", in Antiquités africaines, 13, 1979, 235-247.
  • FERCHIOU 1981 = Naïdé FERCHIOU, "Rinceaux antiques remployés dans la grande mosquée de Tunis: parenté de lor style avec celui de certains monuments de Carthage", in Antiquités africaines, 17, 1981, 143-163.
  • FERCHIOU 1984 = Naïdé FERCHIOU, "Les vestiges du Capitole de Numlulis", in British School at Rome. Papers, 52, 1984, 115-123.
  • FERCHIOU 1985 = Naïdé FERCHIOU, "Un petit monument de Mididi : temple ou mausolée", in Antiquités africaines, 21, 1985, 159-172.
  • FORTUNER 1976-1978 = Bérengère FORTUNER, "Le forum de Mactaris", in Bulletin archéologique du Comité des travaux historiques et scientifiques. Antiquité, Archéologie classique, 12-14, 1976-78, 159-168.
  • GROS 1978 = Pierre GROS, "Entablements modillonnaires d'Afrique au IIe s. apr. J.-C. (À propos de la corniche des temples du Forum de Rougga)", in Römische Mitteilungen (Mitteilungen des Deutschen Archäologischen Instituts, Römische Abteilung), 85, 1978, 459-476.
  • HARRAZI 1982 = Noureddine HARRAZI, Chapiteaux del la Grande Mosquée de Kairouan, Tunis 1982.
  • KAUTZSCH 1936 = Rudolph KAUTZSCH, Kapitellstudien. Beiträge zu einer Geschchte des spätantiken Kapitells im Osten vom vierten bis ius siebente Jahrhundert, Berlin-Leipzig 1936.
  • LEON 1971 = Christoph F. LEON, Die Bauornamentik des Trajansforum und ihre Stellung in der früh-und mittelkaiserzeitlichen Architekturdekoration Rom, Wien-Köln-Gratz 1971
  • LÉZINE 1962 = Alexandre LÉZINE, Architecture romaine d'Afrique. Recherches et mise au point, Tunis 1962.
  • LÉZINE 1968 = Alexandre LÉZINE, Carthage - Utique. Études d'achitecture et d'urbanisme, Paris 1968.
  • MASTINO 1984 = Attilio MASTINO, "La ricerca epigrafica in Tunisia. Il caso di Mactaris, in L'Africa romana, I, Atti del I convegno di studio (convegno Sassari 1983), Sassari 1984, 88-111.
  • M'CHAREK 1982 = Ahmed M'CHAREK, Aspects de l'evolution démographique et sociale à Mactaris aux IIe et IIIe siècles ap. J.C., Tunis 1982.
  • M'CHAREK 1985 = Ahmed M'CHAREK, "Documentation épigraphique et croissance urbaine. L'exemple de Mactaris aux trois premiers siècles de l'ère chrétienne", in L'Africa romana, II, Atti del II convegno di studio (convegno Sassari 1984), Sassari 1985, 213-223.
  • VON MERCKLIN 1962 = Eugen VON MERCKLIN, Antike FIguralkapitelle, Berlin 1962.
  • PENSABENE 1972 = Patrizio PENSABENE, "Considerazioni sul trasporto di manufatti marmorei in età imperiale a Roma e in altri centri occidentali", in Dialoghi di archeologia, 6, 1972, 317-362.
  • PENSABENE 1986 = Patrizio PENSABENE, "La decorazione architettonica nell'Africa romana: studio preliminare sui capitelli", in Andrea GIARDINA (a cura di), Società romana e impero tardoantico. III. Le merci e gli insediamenti, Bari 1986, 358-429.
  • PENSABENE 1989 = Patrizio PENSABENE, "Architettura e decorazione architettonica nell'Africa romana. Osservazioni", in L'Africa romana, VI, Atti del VI convegno di studio (convegno Sassari 1988), Sassari 1989, 431-458.
  • PICARD 1954 = Gilbert-Charles PICARD, Mactar, Tunis 1954.
  • PICARD 1955-1956, Gilbert-Charles PICARD, "Les campagnes de fouilles qui ont été effectués à Mactar en 1954 et 1955", in Bulletin archéologique du Comité des travaux historiques et scientifiques. Antiquité, Archéologie classique, 1955-1956, 173-180.
  • PICARD 1957 = Gilbert-Charles PICARD, "Civitas Mactaritana", in Karthago, 8, 1957, 1-156.
  • PICARD 1965-1966 = Gilbert-Charles PICARD, "La chronologie et l'évolution stylistique des monuments funéraires de Mactar (Tunisie), in Bulletin archéologique du Comité des travaux historiques et scientifiques. Antiquité, Archéologie classique, 1965-1966, 159-160.
  • PICARD 1968 = Gilbert-Charles PICARD, "Une témoignage sur le commerce des objects d'art dans l'Empire romain. La statue de bronze de l'Apollon de Mactar, offerte par S. Iulius Possessor", in Revue archéologique, 1968, 297-314.
  • PICARD 1971, Gilbert-Charles PICARD, "La demographie de Mactar", in Acta of the 5th Internationale Congress of Greek and Latin Epigraphy (convegno, Cambridge 1967), Oxford 1971, 269-275.
  • PICARD 1972 = Gilbert-Charles PICARD, "Les grandes thermes orientaux à Mactar", in Bulletin archéologique du Comité des travaux historiques et scientifiques. Antiquité, Archéologie classique, 8, 1972, 151-153.
  • PICARD 1974 = Gilbert-Charles PICARD, "Le fouilles de Mactar (Tunisie) 1970-1973", in Comptes rendus des séances de l'Académie des Inscriptions et Belles-Lettres, 118, 1974, 9-33 (testo on line)
  • PICARD 1979-1980 = Gilbert-Charles PICARD, "La tholus du Forum de Mactar", in Bulletin archéologique du Comité des travaux historiques et scientifiques. Antiquité, Archéologie classique, 15-16, 1979-1980, 135-136.
  • PICARD 1984 = Gilbert-Charles PICARD, "Le temple du Musée à Mactar", in Revue archéologique, 1984, 13-28.
  • THÉBERT 1983 = Yvon THÉBERT, "L'évolution urbaine dans le provinces orientales de l'Afrique romaine tardive", in Opus, 2, 1983, 90-130.
  • TOYNBEE - WARD PERKINS 1950 = Jocelyn Mary Catherine TOYNBEE, John Bryan WARD PERKINS, "Peopled Scrolls: a Hellenistic Motif in Imperial Art", in British School at Rome. Papers, 18, 1950, 1-43.
  • WEGNER 1957 = Max WEGNER, Ornamente Kaiserzeitlicher Bauten Roms. Soffitten, Köln-Gratz 1957.