Elementi marmorei della scena del teatro di Hierapolis di Frigia e decorazione architettonica in Asia Minore

Da DecArch - Decorazione architettonica romana.
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P. PENSABENE, "Gli elementi marmorei della scena: classificazione tipologica e inquadramento nella storia degli studi della decorazione architettonica in Asia Minore", in D. DE BERNARDI FERRERO, G. CIOTTA, P. PENSABENE (a cura di), Il teatro di Hierapolis di Frigia, Genova 2007, pp.229-388.
Sintesi del testo con particolare riguardo alle osservazioni sui motivi decorativi.


Nell'ambito della pubblicazione sul teatro romano di Hierapolis in Frigia, scavato, restaurato e studiato dalla missione del Politecnico di Torino iniziata nel 1956, Patrizio Pensabene esamina gli elementi architettonici della decorazione del frontescena, soprattutto quella meglio conservata della fase di età severiana, e in particolare i loro motivi decorativi. Scopo del lavoro è comprendere la cultura artistica delle officine che vi lavorarono e di inquadrarle all'interno della cultura decorativa microasiatica contemporanea.

Vista del teatro severiano di Hierapolis di Frigia

Frontescena di età flavia

L'esame degli elementi architettonici inizia dai pochi resti rimasti della decorazione del primo edificio scenico, realizzato in epoca flavia (dopo il terremoto del 60 d.C.), che furono reimpiegati nella successiva fase severiana. Questi comprendono un capitello corinzio e un capitello corinzieggiante figurato di pilastro (quest'ultimo forse proveniente dal vicino santuario di Apollo), un capitello ionico (anch'esso proveniente probabilmente dal santuario di Apollo), diversi frammenti di fregio-architrave del secondo ordine della scena e due frammenti di fregi-architrave rinvenuti nei parascenia sono ipoteticamente attribuibili al primo ordine. Gli elementi del secondo ordine presentano il fregio decorato con un motivo a girali reso mediante uno spesso tralcio ondulato al quale si aggiungono motivi vegetali isolati negli spazi vuoti, che riprende motivi ellenistici. Nel primo ordine il fregio è decorato con un motivo ad anthemion con coppie di palmette alternate a calici fogliacei.

Il motivo decorativo del fregio del secondo ordine deriva dall'anthemion con palmette alternate a fiori di loto, usato già a partire dall'età ellenistica (come nel Didymaion di Mileto) soprattutto nelle sime delle cornici. In età imperiale tende a divenire una sequenza di palmette alternativamente aperte o chiuse (teatro di Afrodisia) ovvero il fiore di loto (già più vegetalizzato nel tempio di Augusto ad Ankara) tende a trasformarsi in un calice fogliaceo (ad esempio nel ninfeo di Vespasiano a Side).

Frontescena di età severiana

Era costituito da una scena con tre ordini sovrapposti di colonne, con mossa articolazione ad inquadrare le tre grandi absidi in corrispondenza delle porte. L'articolazione degli ordini presenta elementi dell'architettura ellenistica: pilastri con semicolonne addossate su due lati opposti o contigui ("a cuore"), frontoni spezzati con gli angoli isolati sulle colonne, più sporgenti, e parte centrale in rientranza sul muro retrostante tra le colonne stesse (frontoni spezzati sono presenti anche nei teatri di Efeso e di Aspendos o nella porta del Mercato di Efeso), cornici con modanature della sottocornice ridotte ai dentelli, piedistalli ottagonali sotto le colonne.

La tradizione decorativa è quella propria dell'Asia Minore: sime delle cornici con anthemia a palmette, fregi convessi, acanto spinoso dei capitelli. A questi si aggiungono alcune innovazioni, come i fusti "a cuore" nei quali le due semicolonne hanno fusti scanalati a spirale simmettricamente contrapposte, i fusti di semicolonna con scanalature ondulate, l'acanto "mosso dal vento" nei capitelli e le incorniciature delle porte dove a partire dalla forma ad architrave si moltiplicano e infittiscono le modanature decorate, disposte paratatticamente fino a cancellare la sottostante struttura dell'elemento architettonico.

Le forme decorative sono inserite nello stile standardizzato diffusosi in tutta l'Asia Minore a partire dall'età traiano-adrianea, al quale si aggiungono innovazioni prodotte da officine locali che si dovevano essere costituite sul posto in seguito all'entità delle grandi costruzioni pubbliche di questo periodo.

Il maggiore significato era affidato ai fregi decorati dei podi che sostenevano i tre ordini, piuttosto che ai fregi delle trabeazioni, con decorazioni vegetali, spesso non completamente rifiniti.

Fusti e basi

Fusti bilobi scanalati a spirale (la spirale gira in senso opposto nei due fusti)
Fusto scanalato ad onda di semicolonna.

I fusti di colonna si presentano molto variati (lisci, scanalati a spirale o con scanalature ondulate, affiancati in vario modo a lesene anche con il fusto decorato).


I fusti scanalati a spirale sono impiegati a partire dagli inizi del I secolo d.C. e in particolare proprio nelle facciate monumentali a più ordini. Il motivo si origina da allusioni simboliche ai tralci di vite dionisiaci, che si arrotolano a spirale intorno al tirso (talvolta le scanalature sono percorse da tralci di vite), ovvero dal riferimento a motivi apollinei (colonne spiraliformi con cespi d'acanto del teatro di Sparta, che richiamano la colonna d'acanto di Delfi). Si ritrovano nel ginnasio di Sardi o nel tetrapilo di accesso al santuario di Afrodite ad Afrodisia.
I fusti scanalati ad onda, presenti anche nel ninfeo presso il santuario di Apollo, costituiscono una rappresentazione schematica di un fusto tortile, di cui conosciamo la diffusione ad Alessandria, Efeso e Antiochia, associati a tralci d'acanto o di vite e legate ai fusti decorati con tralci attorcigliati descritti da Diodoro Siculo per il carro funebre di Alessandro Magno, a loro volta di nuovo legati con il tema dionisiaco.
I piedistalli ottagonali costituiscono una probabile moda decorativa, diffusasi in Asia Minore a partire dall'esempio delle basi con plinto poligonale sul lato est della peristasi del Didymaion di Mileto, appartenenti al completamento di epoca imperiale (I secolo d.C.). Pilastrini e basi di acanto di Alessandria mostrano come in epoca ellenistica fossero già conosciute basi con plinto e anche tori poligonali. L'uso proseguì nell'architettura paleocristiana e bizantina (Philippeion di Hierapolis e piedistalli ottagonali conservati nella statio marmorum di Porto).

Capitelli

Acanto spinoso in un capitello corinzio pertinente alle colonne isolate della scena
Acanto frastagliato su uno dei capitelli compositi della scena
Acanto mosso dal vento su uno dei capitelli corinzi della scena
Capitello composito figurato con maschera d'acanto

I capitelli, come i fusti, sono di forme diverse, a seconda della loro posizione nell'articolata architettura della scena: sono presenti capitelli corinzi, corinzieggianti (del tipo con kyma ionico alla base) e compositi, con acanto a foglie spinose o frastragliate, queste ultime in alcuni casi della tipologia con foglie inclinate "mosse dal vento". Alcuni esemplari corinzi e compositi ad acanto frastagliato presentano una maschera vegetale con baffi e barba ottenuti dai lobi delle foglie.


L'acanto spinoso dei capitelli è della forma che compare in periodo flavio e si afferma in epoca adrianea: le foglie sono slanciate e fortemente chiaroscurate mediante l'uso del trapano, con costolatura centrale accompagnata da profonde scanalature che rappresenta l'elemento principale. I lobi presentano fogliette lunghe e appuntite che tendono ad essere accentuatamente a sezione angolare. Le zone d'ombra non sono più a goccia, come nella tradizione ellenistica che ancora perdurava nel I secolo, ma hanno acquistato una forma stretta e allungata. Questa forma di acanto si afferma a partire dal Traianeum di Pergamo, i cui capitelli corinzi sono dovuti ad una grande officina efesina specializzata nella decorazione architettonica.
L'acanto frastagliato o finemente dentellato (lobi delle foglie con contorno frastagliato) era stato utilizzato nei capitelli corinzieggianti a Roma e nelle province occidentali già nel I secolo d.C., ma in quest'area la sua introduzione nelle foglie dei capitelli corinzi e compositi di tipo canonico avvenne solo a partire dall'età severiana (arco degli Argentari e terme di Caracalla a Roma). Nelle province orientali l'acanto frastagliato comparve invece nei capitelli canonici già a partire dalla prima metà del II secolo ("Sala rossa" del santuario egiziano e Traianeum di Pergamo) e si diffuse nella seconda metà dello stesso secolo (ninfeo di Side di epoca antonina). A partire dall'età severiana si diffuse anche in Siria (esemplari di Tiro reimpiegati nella via colonnata e nella cattedrale crociata).

In seguito divenne più usuale nei capitelli della seconda metà del V e del VI secolo.

Un frammento di incorniciatura con un kyma di foglie non finito ad acanto frastagliato permette di ipotizzare che l'origine della diffusione del motivo vada cercata in modi di lavorazione accellerati, con il trapano utilizzato come principale mezzo di definizione dei contorni della foglia. I centri di produzione a partire dai quali si diffuse furono forse le officine docimene (l'acanto frastagliato si incontra spesso nella riproduzione degli elementi architettonici dei sarcofagi a colonnette di produzione docimena) e quelle afrodisiensi (fregio dei propilei del tempio di Afrodite e capitelli corinzieggianti figurati di pilastro dall'edificio "North Temenos House", a nord del tempio, in cui i forellini di trapano che delimitano i contorni della foglia sono stati lasciati volontariamente visibili in alcuni casi).

L'acanto mosso dal vento è un'invenzione delle officine microasiatiche del II secolo (capitelli figurati del teatro di Perge e basi di acanto del teatro di Xanthos). Potrebbero essere derivati dal loro utilizzo sopra i fusti di colonna con decorazione attorcigliata, dei quali riprendevano il movimento. Sono stati distinti tre gruppi di capitelli: con foglie inclinate nella prima corona e quasi verticali nella seconda (fine del II - inizi del III secolo, area tra Gerasa e Damasco); con foglie delle due corone inclinate nella medesima direzione (età severiana a Hierapolis e Cirene e a partire dal IV secolo a Pompeiopoli in Cilicia, a Smirne, in Siria, a Costantinopoli, a Tessalonica, a Ravenna); con foglie delle due corone inclinate in senso inverso (dalla fine del V secolo a Gerusalemme e in Egitto).
La maschera d'acanto è un motivo decorativo ereditato dal mondo ellenistico, con teste di divinità con barba e capelli trasformati in foglie d'acanto, che si origina dal motivo della figura o della protome nascente da un cespo di acanto e nella quale la vegetalizzazione del motivo si è ulteriormente accentuata, fondendosi completamente nella decorazione vegetale: non si trova infatti mai isolata, ma inserita nelle girali dei fregi o tra le foglie dei capitelli.

Il motivo si ritrova saltuariamente in tutta l'architettura ufficiale di epoca imperiale (nel tempio di Augusto ad Antiochia di Pisidia, con busto alato emergente dall'acanto, di tradizione ellenistica, nel tempio di Bacco a Baalbek, nel teatro di Scitopoli in Palestina, sul lato frontale dei fregi delle trabeazioni sporgenti, nel palazzo di Diocleziano a Spalato, dove è ripresa l'iconografia imperiale urbana del motivo, utilizzato come decorazione delle mensole). A Roma sono presenti figure vegetalizzate distinte dal tralcio che si origina da esse (grifi ed eroti) e maschere fitomorfe (fregi della domusFlavia sul Palatino e lacunari di architrave del foro di Nerva) e il motivo della maschera d'acanto maschile si diffonde soprattutto in epoca antonina e severiana, come si riscontra anche nella scultura funeraria (coperchi di sarcofagi) e nei mosaici e nelle pitture. Il motivo si ritrova nel coronamento all'imposta dei fornici laterali dell'arco di Settimio Severo, in un fregio in cui le foglie che costituiscono baffi e barba si prolungano ad avvolgere i tralci che si originano dalle teste stesse. Nell'arco degli Argentari compaiono sulla corona della cornice, in una resa corrente che le confonde con il resto della decorazione vegetale. Nell'architrave del tempio di Serapide di Caracalla sul Quirinale, la maschera svolge la stessa funzione di origine dei tralci d'acanto del fregio normalmente attribuita al cespo d'acanto. Nel tempio del Sole di Aureliano il motivo è utilizzato ampiamente nei fregi, con maschere rese plasticamente e con leggere varianti l'una rispetto all'altra, e tralci di acanto popolati da eroti cacciatori e animali. Fuori Roma troviamo il motivo nel tempio di Bacco a Balbeck, dove tutto il volto appare vegetalizzato e sui pulvini dei capitelli ionici della facciata della basilica civile di Hierapolis, di età antonina. Il motivo ebbe fortuna anche in epoca bizantina (capitelli a imposta con maschere d'acanto) e fu imitato in epoca medievale.

L'originario significato del motivo era allusivo all'immortalità, in relazione all'associazione dell'acanto ad Apollo e alle divinità eleusine, o agli aspetti ctonii di divinità quali Dioniso, Iside, Serapide e Cibele. Non era legato ad una specifica divinità, ma ne rappresentava piuttosto un attributo o qualità. Nel tempio del Sole di Aureliano il suo significato è legato all'esaltazione del potere generante della divinità solare, e quindi all'esaltazione dello stesso imperatore che vi è assimilato ed il suo significato simbolico legato all'esaltazione del potere imperiale fu spesso prevalente rispetto al suo valore decorativo


Le varianti presenti nei capitelli corinzi, nella forma dei caulicoli (a spigolo, a sezione circolare semplice o doppia, a stelo, con orlo a corona di sepali) e delle elici (arrotolate più strettamente o più morbidamente) rimarranno una caratteristica delle officine che lavoravano presso il luogo di impiego, mentre le forme sono più standardizzate, con minori varianti nelle officine che lavoravano presso le cave per l'esportazione.

I capitelli corinzi adrianei dall'Asklepeion di Pergamo e delle terme del Porto di Efeso e quelli antonini delle terme di Vedio, ancora ad Efeso, e delle terme di Faustina a Mileto, presentano le forme canoniche dell'architettura ufficiale dell'Asia Minore: foglie ad acanto spinoso staccate dal kalathos, caulicoli schematizzati, spesso ridotti a spigolo negli esemplari di minori dimensioni, elici e volute assottigliate. Le stesse caratteristiche si ritrovano in esempi di età tardo-antonina e severiana in Panfilia, Cilicia e Licia e nelle città costiere di Siria e Tripolitania. Le officine itineranti microasiatiche provenienti da centri come Nicomedia, legati alle cave del marmo proconnesio, avevano adottato forme standard semplificate nella produzione di capitelli, testimoniate già nel monumento di Marco Servilio Fabiano a Tomis, sul Mar Nero, datato epigraficamente all'anno 161-162.

Nei capitelli corinzi con questo tipo di acanto del periodo tardo antonino e severiano si affermarono le tendenze alla schematizzazione (caulicoli quasi sempre a spigolo, elici e volute ridotte e pressate dalle foglie d'acanto dei calici), che comportarono un'alterazione delle proporzioni tra la zona inferiore con le corone di foglie e quella superiore di calici e volute, ridotta a circa un terzo dell'altezza del kalathos. Questi elementi si erano ritrovati in precedenza solo occasionalmente nella produzione di Efeso e di Pergamo.

I capitelli compositi più antichi presentano foglie d'acqua nella parte superiore del kalathos ([biblioteca di Celso] ad Efeso e portico nord dell'Asklepeion di Pergamo), o in altri casi i viticci. Con l'età adrianea divennero comuni i capitelli con parte superiore del kalathos baccellata (porta di Adriano ad Antalya), mentre parallelamente si diffuse anche la forma più semplificata, con kalathos liscio superiormente (ginnasio di Vedio a Efeso, terme di Faustina e Delphinion a Mileto).
I capitelli corinzieggianti con kyma ionico alla base derivano dalla trasformazione dei più antichi capitelli a sofà con kyma ionico e [[[Studi_/_Le_modanature#Decorazioni_non_canoniche|anthemion]], ancora in uso all'inizio dell'età imperiale (teatro di Afrodisia). La tendenza successiva fu quella di sostituire le volute angolari con foglie d'acanto e di estendere il kyma ionico di base lungo tutto il margine inferiore (bouleuterion di Nysa).
Le differenze nelle modalità di lavorazione nelle officine spiegano le differenze cronologiche tra i capitelli corinzi e le trabeazioni delle città nelle regioni occidentali dell'Asia Minore, vicine alle cave di marmo e dunque lavorati sul posto, nell'ambito di consolidate tradizioni decorative locali o regionali, rispetto ad elementi molto simili delle citta costiere del Mediterraneo sud-orientale, dove mancano le cave di marmo, lavorati spesso da maestranze itineranti che accompagnavano i carichi di importazione. Per questo aspetto Hierapolis era vicina alle cave locali di Thiounta e di Laodicea sul Lykos, dove mancano attestazioni di una produzione in cava di manufatti destinati all'esportazione, e in linea d'aria anche a quelle di Afrodisia, tuttavia difficilmente raggiungibili a causa della conformazione orografica del territorio: sappiamo che maestranze formatesi ad Afrodisia si spostavano altrove per eseguire in loco lavori di scultura o di decorazione. A Hierapolis i numerosi monumenti edificati nel corso del II secolo e per l'età severiana rendono probabile una presenza continuativa di officine specializzate nella decorazione architettonica, delle quali vanno indagate le componenti culturali e gli influssi. La presenza di capitelli quasi identici nel tetrapilo di età severiana di Afrodisia, ha fatto pensare alla presenza di scultori originari di questa città nelle maestranze che lavorarono al teatro di Hierapolis.

Sono stati ipoteticamente attribuiti a qualche parte del complesso anche alcuni capitelli ionici, datati da Bingöl all'età severiana in base alla decorazione del pulvino.

Fregi e decorazione dei podi

Rilievo a fregio con eroti e ghirlande della decorazione del podio del secondo ordine
Frammento con testa di Hermes sopra la ghirlanda e incorniciatura laterale

Il podio del primo ordine era decorato con un rilievo a fregio che raffigura i cicli mitologici di Apollo e di Artemide, sviluppati a partire dall'esedra centrale e in modo simmetrico. Quello del secondo ordine conserva nella parte centrale il fregio con la raffigurazione degli agoni artistici e atletici che si svolgevano nel teatro, con al centro la famiglia imperiale severiana. Allo stesso fregio sono stati attribuiti rilievi, con corteo dionisiaco, con il ratto di Proserpina e con scene di sacrificio, e, per i tratti rientranti con fregio a ghirlande sostenute da eroti alati e con fiori, teste di Medusa e di Hermes come riempitivi, incorniciati da kyma lesbio trilobato e kyma ionico. Al podio del terzo ordine sono attribuiti altri rilievi con eroti apteri (privi di ali) e ghirlande e con maschere teatrali e gorgoni come riempitivo, incorniciati da un kyma ionico e forse un rilievo con Demetra sul carro.

Il coronamento dei podi presenta anthemiacon foglie d'acanto frastagliato alternate a foglie d'acqua, un motivo presente nelle sime, nelle cornici di imposta e nelle incorniciature dei portali, mentre gli zoccoli presentano modanature lisce, con due tori separati da una gola.

Il motivo degli eroti sorreggenti ghirlande è di epoca ellenistica ed allude al tema dell'immortalità. In epoca imperiale romana si trova nel propylon del tempio di Augusto ad Antiochia di Pisidia, nel fregio di età tiberiana del tempio di Pessinunte, nell'arco a tre fornici ancora di Antiochia di Pisidia e nell'agorà di Smirne. Un fregio a maschere e ghirlande decora il podio del terzo ordine aggiunto nel tardo II secolo alla scena del teatro di Efeso. Il tema è diffuso anche nella decorazione dei sarcofagi, in particolare i sarcofagi a ghirlande di Afrodisia.

Fregi-architrave e lacunari

Fregio-architrave del secondo ordine

I fregi-architrave dei tre ordini presentano il fregio convesso, decorato da girali d'acanto frastagliato, nascenti da un cespo d'acanto e terminanti in semipalmette, e l'architrave a tre fasce, coronato da un anthemion a palmette e da un kyma ionico. L'incorniciatura superiore del fregio è costituita per gli elementi del primo ordine da un kyma lesbio trilobato e per gli elementi del secondo e del terzo da un kyma ionico. Il fregio ha altezza inferiore a quella dell'architrave e la sua riduzione di proporzione è maggiormente accentuata nei due ordini superiori. Il fregio-architrave del proscenio ripete in proporzioni minori quello del primo ordine.

Sono inoltre presenti architravi di pianta triangolare, che uniscono un blocco rettilineo e uno curvilineo ad esso tangente (pertinenti ad una trabeazione sporgente che inquadrava una nicchia semicircolare) e che presentano la zona del fregio scalpellata per ricevere un rivestimento di lastre, forse in marmo colorato, sul lato rettilineo. La successione delle modanature è uguale a quelli dei fregi architravi del primo ordine, ma gli architravi sono coronati da un anthemion a palmette alternativamente diritte, chiuse, e rovesce, aperte. Ciascun architrave ha uno stretto e poco profondo lacunare,con i lati corti concavi: quello rettilineo con un tralcio terminante in una semipalmetta e quello curvilineo con un ramo di foglie.

I lacunari possono presentarsi privi di incorniciature o incorniciati da un kyma lesbio trilobato. Sono presenti noti motivi vegetali (rami di foglie di quercia, tralci ondulati con foglie d'acanto, o tralci di vite, in qualche caso originati da un kantharos centrale) e motivi figurati (eroti armati di lancia con leoni, che alludono alle venationes che dovevano svolgersi nel teatro e che sono presenti anche negli stipiti dei portali, eroti vendemmianti, coppie di vari esseri marini, a volte con kantharos centrale)

L'ordine di successione dei blocchi nella trabeazione era segnalato per mezzo di una lettera alfabetica incisa all'estremità della prima fascia dell'architrave e sul piano inferiore degli elementi curvilinei è inciso il contorno dei capitelli sui quali poggiavano.

Gli esemplari del teatro di Hierapolis presentano una resa accurata, con astragali a fusarole e perline intagliati nitidamente e con i tratti di nastro del motivo a corda con nervatura centrale a rilievo. Il [[Studi_/_Le_modanature#Decorazioni_canoniche|kyma ionico del coronamento del fregio presenta gli elementi tra gli sgusci ridotti a una semplice stanghetta, mentre lo stesso motivo nel coronamento dell'architrave mostra freccette con grande punta che assomiglia ad una foglietta triangolare. L'effetto di insieme è quello di una lavorazione a traforo, nella quale plasticismo e naturalismo sono vanificati a favore di un decorativismo affidato al chiaroscuro.

Il fregio decorato con girali d'acanto, il cui modello proviene dall'elaborazione urbana di epoca augustea, con chiari significati simbolici e propagandistici, si ritrova in Asia Minore nelle celle dei templi di Augusto ad Ankara e ad Antiochia di Pisidia, forse nel tempio di Pessinunte e nella porta di Mazeo e Mitridate ad Efeso, dove la decorazione è più ricca ed elaborata. Il motivo è ampiamente diffuso in diversi contesti microasiatici (Serapeion di Efeso, ninfeo di Domiziano nel portico dell'agorà a Iasos, Tychaion di Side, ninfeo di Aspendos, teatro di Sagalassos in Pisidia, temenos del tempio di Afrodite e portico della palestra delle terme di Adriano ad Afrodisia.

Cornici

Timpano triangolare con cornice di frontone

Le cornici con mensole dei tre ordini della scena presentano sima con anthemion a tralci intermittenti ad S, con palmette diritte e calici rovesci, separata per mezzo di un [[Studi_/_Le_modanature#Decorazioni_canoniche|astragalo a fusarole e perline dalla corona liscia. Il soffitto presenta mensole ad S poco accentuata, rivestite da foglie acantizzanti e incorniciate da un grande kyma ionico e con cassettoni privi di incorniciatura ornati da rosette o calici. La sottocornice è limitata a kyma ionico e dentelli, oppure kyma lesbio trilobato e dentelli, o ancora con i soli dentelli. Le cornici ioniche del proscenio presentano la medesima successione di modanature, ma con soffitto liscio e sempre con kyma lesbio trilobato e dentelli nella sottocornice.

Le cornici sono opera di diversi scalpellini, alcuni dei quali producono motivi con intaglio più nitido, mentre altri tendono ad affastellare gli elementi della decorazione e sono meno accurati. La successione delle modanature è quella convenzionale della decorazione architettonica microasiatica del tempo, con effetto generale più coloristico che plastico.

Negli ordini sono presenti edicole sormontati da timpani arcuati o triangolari, con la cornice del geison orizzontale, priva di sima, coronata superiormente da un motivo a corda, mente la cornice del geisonobliquo si presenta uguale alle altre. Il campo frontonale, incorniciato da un kyma ionico, presenta nei timpani arcuati un disco al quale doveva essere applicata una decorazione bronzea e protomi di divinità nei timpani triangolari.

Fusti di pilastro decorati

Il terzo ordine presentava fusti di pilastro decorati su tre lati entro un campo ribassato: il lato anteriore con un festone a foglie acantizzanti embricate, terminante superiormente in una pigna, e i fianchi con la ripetizione del medesimo motivo, o con tralci d'acanto ad otto, spesso non finiti, o lisci. Gli stipiti delle nicchie del secondo ordine sono costituiti da pilastri decorati con tralci ad otto, incorniciati da kyma lesbio trilobato. Le porte dei parasceni presentano lesene con fusti decorati con tralci ondulati riempiti da girali, che sostenevano un arco, e ai lati di esse due altre lesene più grandi che sorreggevano il primo ordine, decorati con tralci ad otto popolati da eroti e animali: quelle del parascenio nord presentano una decorazione più esuberante di quelle del lato sud.

Alcuni motivi, come la presenza di piccole scene figurate alla base delle lesene dei parasceni, sono presenti anche nei pilastri decorati afrodisiensi, come quelli delle terme di Adriano: la resa stilistica è tuttavia ineguale e permette di ipotizzare la presenza di maestranze specializzate afrodisiensi accanto a quella di scultori locali di varia abilità. L'effetto decorativo è di nuovo affidato in gran parte al chiaroscuro ottenuto con il trapano, evidente nelle numerose parti semirifinite (sia a livello di disegno inciso sulla superficie della modanatura, sia con i forellini di trapano senza l'eliminazione dei trattini intermedi).

Uno dei fusti di pilastro decorati del terzo ordine della scena
Fusto di pilastro decorato non finito

Incorniciatura e coronamento dei portali della scena e dei parasceni

Gli stipiti conservano traccia della tradizionale articolazione delle incorniciatura di porta ad architrave, nella quale tuttavia anche le fasce sono occupate da motivi decorativi. Il coronamento presenta ancora distinguibile una sottocornice con diverse modanature e una sopracornice meno alta con sima ad anthemion o con kyma di foglie e sottile corona liscia. Ai lati sono presenti mensole verticali accentuatamente incurvate ad S.

La decorazione delle fasce e le dimensioni proporzionalmente grandi delle modanature di separazione tendono ad annullare la struttura architettonica, che rimane riconoscibile essenzialmente nella scelta dei motivi utilizzati, diversi per le fasce e per le modanature di separazione.

Tra i motivi utilizzati sulle fasce si trova il can corrente, che fa parte del repertorio microasiatico, tralci ondulati, festoni di foglie di quercia con ghiande.

Altri elementi della scena

Soffitto

Di seguito sono segnalati vari elementi che non appartengono ai tipi di cui è stata identificata la collocazione in antico, in alcuni casi forse reimpiegati in un intervento successivo. Tra questi sembra di particolare interesse una mensola con profilo ad S, incorniciata da modanature lisce e decorata da baccellature al centro della faccia inferiore.

Tra i capitelli compositi delle paraste che inquadravano le nicchie del secondo ordine si trovava inoltre un fregio che ne riprendeva la decorazione (due file di foglie d'acanto, corrispondente alle corone, e coronamento con kyma ionico, corrispondente a quello dell'echino dei capitelli). Un motivo simile si ritrova nel tetrapilo di Afrodisia, nel propylon del recinto nord-orientale di Mileto, a Sagalassos, reimpiegati nella basilica cristiana E1, sulle pareti del tempio di Zeus a Aizanoi e nel tempio di Apollo a Hierapolis.

I soffitti pertinenti alle edicole della scena presentano profondi cassettoni quadrati incorniciati da spessi listelli lisci o molto meno profondi, disegni complessi generati dall'intersezione di diversi motivi geometrici, nei quali l'incorniciatura, con kyma ionico o con kyma lesbio trilobato, perde la sua funzione per diventare quasi uno degli elementi decorativi che occupano i cassettoni.

Altri elementi della decorazione del teatro di età severiana

La fronte del logheion era articolata in nicchie inquadrate da colonne con fusti scanalati a spirale in marmo pavonazzetto, basi attiche e capitelli compositi. La trabeazione è articolata in parti sporgenti e rientranti e la superficie muraria era rivestita di lastre di pavonazzetto; erano presenti degli accessi per gli spazi sotterranei destinati al personale e ai servizi. Le nicchie avevano soffitti semicupolati a conchiglia.

Il portico in summa cavea poggiava sopra un podio, articolato in rientranze e sporgenze, con coronamento superiore a modanature lisce (con iscrizione di dedica ad Adriano). Al di sopra il piccolo portico decorativo ha motivi decorativi simili a quelli della scena e fu evidentemente realizzato in epoca severiana: è costituito da colonnine e pilastrini, i quali sostenevano i blocchi che comprendevano la trabeazione, decorata sul lato esterno e con modanature lisce sul lato interno, e con i lacunari degli architravi, e il soffitto decorato da cassettoni. La cornice della trabeazione presenta un soffitto modanato a gola diritta e decorato con un 'anthemion con pamette diritte e calici rovesci.

Restauro del IV secolo del frontescena

Interventi di restauro della metà del IV secolo, sotto Costanzo II, si ebbero in seguito al crollo di parte del muro di sostegno della scena e del parascenio settentrionale: alcuni elementi danneggiati furono reimpiegati nella muratura di un ninfeo e sostituiti, nel rimontaggio, con elementi appositamente lavorati ad imitazione di quelli più antichi.

Il kyma lesbio trilobato che incornicia il campo decorato di uno dei pilastri decorati del restauro di IV secolo
L'imitazione di ornati architettonici più antichi è una pratica frequente nell'architettura tardo-imperiale, legata al fenomeno del reimpiego: spesso essendo impossibile ottenere serie complete di elementi che si adattassero all'articolazione del nuovo edificio, i blocchi mancanti erano realizzati ad imitazione dei pezzi più antichi che dovevano integrare. Il fenomeno è noto nell'arco di Costantino a Roma, dove il cornicione reimpiegato di epoca antonina è stato integrato con le parti sporgenti, che non erano presenti nel monumento originario. Altri esempi si hanno nel fregio sul lato interno del pronao nel tempio di Saturno, sempre a Roma, e nel teatro di Merida (restauri di epoca costantiniana). In Asia Minore ritroviamo il fenomeno nei capitelli della porta tardo-antica della via dei Cureti ad Efeso, nei capitelli ionici della basilica cristiana del tempio di Afrodite ad Afrodisia, nelle cornici con mensole del ninfeo di Laodicea sul Lykos e nel rifacimento della sinagoga di Sardi. Spesso i motivi decorativi imitati vengono tuttavia scomposti, perdendo la loro coerenza organica.


Alcuni dei pilastri decorati del terzo ordine sostituiti nel restauro, che riprendono i medesimi motivi decorativi degli originali, ma con rese dei motivi che vengono reinterpretati secondo il gusto dell'epoca, che si basava su geometrismi ed effetti di intarsio [che in alcuni casi arrivano a perdere nel processo di trasformazione l'organicità della forma vegetale], e seguendo le tradizioni artistiche che si erano affermate in Asia Minore nel corso del IV secolo (Panaghìa di Antalya).

Provenienza dei marmi

In base alle analisi archeometriche e all'esame autoptico, il marmo utilizzato per i rilievi figurati del frontescena non è il marmo bianco docimeno a cristalli piccoli, come sembrava indicato nelle iscirizioni di dedica, ma proviene dal distretto marmifero di Thiounta, a cristalli medio-grandi, situato presso Hierapolis, o meno probabilmente da Afrodisia o da Laodicea sul Lykos. Dalle cave di Docimium proveniva invece il marmo pavonazzetto utilizzato nelle lastre di rivestimento e in alcuni fusti di colonna, al quale si riferisce l'iscrizione di dedica della corporazione dei tintori, che ne indica la misura in piedi quadrati.

Gli influssi più rilevanti presenti nella decorazione provengono dalla scuola di Afrodisia, mentre l'influenza docimena si manifesta in alcune statue del teatro, che sono in marmo bianco a cristalli piccoli, forse appunto il docimeno bianco.

Cave di Docimium

La qualità bianca, molto simile nelle caratteristiche fisico-chimiche al più noto marmo pavonazzetto era utilizzata soprattutto per la produzione di manufatti interamente lavorati nelle cave e quindi esportati a Roma e in Asia Minore.

Waelkens ha attribuito a queste officine una produzione di sarcofagi di II e III secolo, in base al marmo e alla porta funebre presente sia sul lato corto dei sarcofagi, sia nelle stele funerarie della zona con una simile evoluzione. La produzione era iniziata con alcuni esemplari di alta qualità già nel I secolo. Un forte sviluppo delle officine si ebbe in epoca traianea, probabilmente grazie alla consistente commissione di statue di Daci in pavonazzetto per il Foro di Traiano. Le casse erano decorate a ghirlande di foglie di quercia e poi di frutti, che riprendono motivi di origine attica, e in seguito anche con scene figurate (caccia di Eroti, iniziazione eleusina di Eracle, amazzonomachia), o con un clipeo sorretto da putti volanti sul lato posteriore. Il gruppo di sarcofagi più diffuso, dalla metà del II secolo, fu quello dei sarcofagi a colonnette con figure in edicole, dei quali sono stati scoperti nelle cave coperchi a kline non finiti.

Nelle cave venivano anche prodotte statuette di divinità, di diversa qualità, diffuse soprattutto localmente, ma anche esportate (un piccolo gruppo con Amore e Psiche è stato rinvenuto nel relitto di Punta Scifo), e copie di capolavori classici, forse eseguite a partire da copie attiche.

La produzione delle cave di elementi architettonici e di arredo quasi rifiniti era invece piuttosto ridotta e comprende basi su piedistalli e capitelli ionici. Molto più ampia la produzione di blocchi da cui ricavare lastre di rivestimento e fusti in marmo pavonazzetto.

Le iscrizioni di cava, legate alla proprietà imperiale, si riferiscono alla produzione del marmo colorato, sottoposta al monopolio, mentre mancano per il marmo bianco, che doveva essere destinato alla commercializzazione. Le officine di produzione di manufatti in marmo bianco potevano essere in mano a privati: sembrerebbe attestarlo la loro diffusione, inizialmente di ambito locale ed espansa poi gradualmente fino a raggiungere Roma e le province occidentali. Le iscrizioni documentano l'esistenza di artisti e di manufatti definiti come docimeni, in riferimento non soltanto alla varietà di marmo utilizzata, ma anche alla sua lavorazione. Si erano formate anche officine itineranti, che si spostavano nelle località vicine per la decorazione architettonica di edifici pubblici (attestate epigraficamente a Iconium in Licaonia).

La produzione di sarcofagi, divenuta celebre, fu imitata anche da altre cave della regione. Le cave docimene proseguirono l'attività in epoca bizantina sia per le lastre di rivestimento in pavonazzetto, sia per i capitelli a cesto e ionici a imposta.

Cave di Laodicea sul Lico

Il distretto di marmo comprende 32 cave antiche sul massiccio dell'Akdagi, presso l'odierna Denizli e presso la città antica di Laodicea sul fiume Lykos, affluente del Meandro. Producevano un marmo grigio chiaro o bianco con venature grigio scure, a con cristalli grandi e con odore fetido alla frattura, e un marmo a cristalli medi grigio scuro, bianco grigiastro o bianco giallastro.

L'utilizzo di queste varietà di marmo non è attestato epigraficamente o dalle fonti, ma dovette essere utilizzato localmente, sia nella stessa Laodicea, sia a Hierapolis, e forse trasportato lungo il corso del Meandro anche più lontano. È attestata una produzione di sarcofagi e sculture decorative.

Cave di Thiountas

Le cave erano situate presso l'antico villaggio di Thiountas (oggi Gözler o Eski-Gözler), dipendente probabilmente dalla città di Hierapolis. Producevano marmo bianco e grigio-bianco a cristalli grandi, molto simile a quello di Afrodisia, utilizzato probabilmente per alcuni edifici pubblici di Hierapolis. Vi è attestata una produzione di sarcofagi utilizzata localmente.

Non corrisponde al "marmo di Hierapolis" noto dalle fonti antiche, che era un marmo colorato, probabilmente l'alabastro fiorito.

Cave di Afrodisia

Le cave si trovano in diversi siti sul versante occidentale del monte Salbaco (Baba Dagh) e producevano marmo bianco uniforme o bianchi azzurrastri o grigiastri, a cristalli medi e grandi. Il loro sfruttamento iniziò in età ellenistica, contemporaneamente allo sviluppo del santuario di Afrodite e della città di Afrodisia, e perdurò fino all'età bizantina. La limitata quantità di marmo prodotta e le difficoltà di trasporto comportarono il disinteresse dell'amministrazione imperiale. Tuttavia l'afflusso di artisti provenienti da Pergamo fece nascere dall'età tardo ellenistica un'importante scuola di scultura, specializzata nella produzione di copie di capolavori greci, di elementi di decorazione architettonica e di sarcofagi.

Nelle cave di Afrodisia si formarono officine itineranti che a loro volta formarono scuole di tradizione afrodisiense anche in altre città. Conosciamo firme di scultori che si dichiarano afrodisiensi e le cui opere non sono necessariamente scolpite nel marmo delle cave: questo conobbe infatti un'esportazione non di solo ambito regionale solo nella qualità del bigio antico locale. È probabile che personaggi legati ad Afrodisia fossero impegnati anche nella gestione delle cave docimene e che le officine scultoree avesso dunque a disposizione anche marmi provenienti da altre località.

Tra le firme sono note quelle di Aristea e Papia, che realizzarono i centauri in bigio morato da Villa Adriana ai Musei Capitolini. L'abilità nello sfruttare le caratteristiche dei marmi colorati è rivelato da una statuetta bicroma con il ratto di Europa, rinvenuta ad Afrodisia, che sfrutta il cambiamento di colore tra il bianco e il grigio scuro di un blocco. La rinomanza della scuola è attestata dalla diffusia menzione dei "fregi di Afrodisia" nelle iscrizioni. Nel IV secolo è ancora documentata la loro attività in zone lontane, come per la decorazione architettonica della villa di di Chiragan presso Tolosa.

Nelle cave il metodo di estrazione cambiò nel tempo: inizialmente limitato al solo strato esterno, solo in seguito si estese allo scavo in profondità, per passare quindi ad un'organizzazione razionale e organica che permise uno sfruttamento sistematico, fino ad arrivare all'utilizzo di più fronti di cava, come avveniva nelle grandi cave imperiali. Le cave furono attive anche in età bizantina, epoca in cui la città divenne metropoli della Caria (Stauropoli) e il marmo può forse essere identificato con il marmo karikos ("di Caria"), noto dalle fonti.

Conclusioni sulla decorazione architettonica microasiatica e a Hierapolis

Centri ed officine di decorazione architettonica in Asia Minore

La scelta dei motivi decorativi e la loro successione corrispondono alle modalità standardizzate nella decorazione architettonica microasiatica, come si era stabilita a partire dall'età traianea ed adrianea dopo un periodo di stagnazione nel I secolo d.C. Lo stimolo era partito dal cantiere del Foro di Traiano a Roma e dall'esperienza acquisita dalle maestranze asiatiche che avevano lavorato in epoca adrianea nei grandi cantieri della capitale (tempio di Venere e Roma, tempio di Adriano, mausoleo di Adriano). In Asia Minore monumenti come il Traianeum di Pergamo e la biblioteca di Celso ad Efeso, costruiti in questo periodo, furono presi a modello per il successivo sviluppo dello stile decorativo della regione. Sulla ripetizione standardizzata di ornati e sequenze decorative si innestava la tradizione ellenistica, ancora vitale, e il nuovo fenomeno delle città legate alle cave di marmo, come Nicomedia, centro di formazione per maestranze specializzate collegate alle cave del marmo proconnesio e attive anche altrove, le quali dovettero operare nel cantiere del tempio diptero di Cizico, sempre di epoca adrianea.

Un altro centro dove si sviluppa un importante scuola artistica, collegata alle locali cave di marmo, è Afrodisia, dove tuttavia manca la produzione di manufatti architettonici realizzati in cava, ma la cui attività si diffonde nei centri della valle del Meandro, contrapponendosi alla scuola pergameno-efesina. Lo stile, visibile in particolare nei pilastri decorati, si manifesta come esuberante e chiaroscurato, ma senza perdere la consistenza plastica, con piccole figure inserite negli instestizi della decorazione vegetale. Non esiste invece una scuola per la produzione di manufatti architettonici legata alle cave docimene, che si erano piuttosto specializzate nella produzione di sarcofagi, esportati soprattutto in Italia.

I pilastri decorati della basilica del Foro severiano di Leptis Magna sono stati attribuiti alla scuola di Afrodisia (dalla Squarciapino) o a maestranze itineranti da Nicomedia o dalla Bitinia (dal Ward Perkins). Il kyma lesbio trilobato dell'incorniciatura nei pilastri afrodisiensi presenta elementi interni degli archetti a palmette o a calici fioriti e fiori a tulipano tra gli archetti, mentre nei pilastri di Leptis Magna si presenta in alcuni casi con elemento interno e fiori tra gli archetti vegetalizzati per mezzo di un contorno frastagliato: questo stesso motivo è presente anche nell'incorniciatura dei pilastri decorati e in altri elementi dal teatro di Nicea, città vicina a Nicomedia. Tale confronto, che sottolinea l'importanza di unire all'analisi stilistica dei tralci (con figure proporzionalmente più grandi), le osservazioni tipologiche sulle caratteristiche delle modanature decorate, permette di aderire all'ipotesi di Ward Perkins. Le maestranze itineranti legate alle cave del marmo proconnesio e a Nicomedia lavorarono nella Bitinia, nella Misia, in Tripolitania e in Palestina (teatri di Cesarea e di Schytopolis).

Le officine di Afrodisia avrebbero lavorato invece soprattutto in Caria, Frigia, Licia e Panfilia, e in particolare a Hierapolis: i rilievi dei podi con eroti e ghirlande riprendono le raffigurazioni dei sarcofagi a ghirlande di Afrodisia e anche i rilievi con scene mitologiche dei podi del primo ordine del teatro sono confrontabili, oltre che con quelli nella medesima posizione dei teatri di Side, Perge e Nysa, con le lastre reimpiegate ad Afrodisia nella ricostruzione tarda della porta dell'agorà, realizzate da vari scultori, con stili diversi che riflettono quelli degli originari modelli, con una combinazione di tradizioni classiche ed ellenistiche e di innovazioni locali.


Decorazione architettonica a Hierapolis

La ricostruzione di età flavia della città dopo il terremoto del 60 d.C., con l'ampliamento urbano e la costruzione della porta dedicata all'imperatore Domiziano da Sesto Giulio Frontino, proconsole della provincia d'Asia nell'82-83 e noto come autore di un trattato sugli acquedotti di Roma. In questo periodo domina la tradizione decorativa tardo-ellenistica, che predilige l'ordine dorico, con edifici in pietra locale (portico lungo la via principale, facciata della latrina pubblica e diversi monumenti funerari) o nelle ricostruzioni in marmo di portici più antichi e collegati alle aree sacre (porticato dorico del tempio di Apollo, ricostruzione del tempio con capitelli ionici).

Fronte e fianco del capitello ionico pertinente alla facciata della basilica dell'agorà commerciale

A partire dal tardo I secolo e soprattutto nel II l'architettura in marmo predilige invece l'ordine corinzio e si manifesta in qualche caso la presenza di maestranze itineranti esperte. La massima fioritura, nella quale la prosperità della città si manifesta con la particolare ricchezza dei nuovi edifici, si ebbe in età severiana: si devono a questo periodo le cosiddette "Grandi terme" nel settore sud-occidentale e il ninfeo nel centro cittadino, e soprattutto la piazza (agorà commerciale) realizzata presso la porta di Frontino, circondata da portici e con basilica sul lato est. La facciata di questo edificio presentava grandi capitelli ionici con maschere d'acanto sul pulvino laterale e straordinari capitelli figurati con eroti e ghirlande, con leoni che azzannano tori e con sfingi, opera probabilmente di maestranze provenienti da Afrodisia, che lavorarono insieme alle maestranze locali. L'officina che si formò in tale occasione dovette in seguito consolidarsi nel successivo cantiere del teatro, sempre con la collaborazione tra scultori più esperti e altri che nelle parti di minore impegno ripetevano i modelli assimilati in modo sommario e con interesse più per i valori decorativi del chiaroscuro che per la consistenza plastica e con ampio impiego del trapano per accellerare i tempi di lavorazione. Le stesse maestranze lavorarono in seguito ad un altro edificio, i cui materiali vennero reimpiegati nel ninfeo tardo costruito davanti al tempio di Apollo.

Teatro di Hierapolis nel contesto della decorazione microasiatica

L'architettura del frontescena del teatro di Hierapolis, unito alla cavea dai due avancorpi laterali (parasceni), aumentato in altezza e slancio con l'introduzione di un terzo ordine di pilastri di altezza minore e arricchito dalla fastosa articolazione in esedre e sporgenze, si inserisce nel diffuso quadro di marmorizzazione degli edifici pubblici cittadini, presente in tutte le province romane tra il II secolo avanzato e gli inizi del III.

Le epigrafi sulle fasce dell'architrave del I ordine menzionano i committenti, pubblici e privati: la boulè cittadina (senato cittadino) e la corporazione dei tintori di porpora. La decorazione scultorea sottolinea la presenza delle divinità locali e della famiglia imperiale (scene nei rilievi dei podi) che esaltano il prestigio della città ed esprimono l'aderenza dei cittadini alla politica imperiale anche tramite la ripresa dei modelli dell'architettura ufficiale imperiale.

La successione degli ordini impiegati (corinzio su fusti lisci, composito su fusti scanalati a spirale e composito su fusti decorati di pilastro), corrisponde alle formulazioni più ampiamente usate nell'Asia Minore di II secolo, sebbene invertito nei teatri di Myra, Apendos e Perge dove i capitelli compositi sono presenti nel primo ordine, in sostituizione dei capitelli ionici che vi erano utilizzati nei frontescena di I secolo (Afrodisia, fase neroniana del teatro di Efeso, Selge). Capitelli corinzi al primo ordine e compositi al secondo si ritrovano nelle facciate monumentali dei ninfei e delle porte (porta del Mercato, arco della via dei Cureti e, dell'inizio del II secolo, la biblioteca di Celso a Efeso).

La ricca articolazione planimetrica comporta soluzioni particolari, come le colonne "a cuore" (due semicolonne addossate ai lati contiqui di un pilastro) disposte all'angolo tra frontescena e parasceni, con capitelli a cuore dotati di mensole sporgenti per sorreggere la soprastante trabeazione.

La decorazione architettonica si distingue per la grande varietà dei motivi decorativi, che evita le ripetizioni monotone nelle diverse partizioni architettoniche. I portali della scena sono caratterizzati da un horror vacui che annulla la loro struttura tettonica, annullando le differenze tra le parti costitutive e le modanature di separazione. In tutta la decorazione si nota la perdita della coerenza nei rapporti proporzionali tra le parti e il ricorso agli effetti chiaroscurali che semplificano la resa plastica: si tratta di un fenomeno che si manifesta in tutta la decorazione microasiatica tra l'età antonina e quella severiana. Così negli architravi la preponderanza del coronamento e la rilevanza proporzionale data alle modanature di separazione, riducono l'altezza delle fasce, attenuando le differenze. Le girali d'acanto dei fregi sono semplificate e ridotte dove incontrano i margini, manifestando uno scarso interesse per la percezione unitaria delle singole forme vegetali. Nelle cornici le mensole sono ridotte quasi a tavoletta e lo sviluppo della sottocornice è ridotto ai dentelli, mentre l'anthemion della sima si appiattisce, quasi ritagliato sul fondo liscio, testimoniando della ripetizione meccanica e convenzionale dei motivi noti e la ricerca di valori coloristici e chiaroscurali anziché plastici. Nell'insieme il valore decorativo è affidato alla nettezza del disegno e alle reciproche relazioni di corrispondenza tra gli elementi delle diverse modanature (corrispondenza assiale).

Le differenze nella scelta e nella successione dei motivi decorativi nei portali e l'utilizzo di varianti all'interno dello stesso schema compositivo nei fusti decorati permettono di ricostruire l'organizzazione delle squadre di scalpellini: alle maestranze più esperte vennero probabilmente affidati gli elementi di maggior impegno (rilievi e capitelli), mentre altre più correnti lavorarono ai fregi e ai fusti decorati, con rilievo più basso e maggiore uso del trapano. All'interno di questi gruppi le maestranze erano suddivise in squadre che operavano su parti diverse della scena.