Divus Vespasianus

Da DecArch - Decorazione architettonica romana.
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F. COARELLI (a cura di), Divus Vespasianus. Il bimillenario dei Flavi (catalogo mostra Roma), Milano 2009.


ElaborazioneRitrattoVespasiano.jpg

Premessa

Il catalogo della mostra, tenutasi a Roma nel Colosseo, nella Curia e nel Criptoportico neroniano del Palatino tra il 27 marzo del 2009 e il 10 gennaio del 2010, ha consentito con il contributo di numerosi studiosi di fare il punto su diversi aspetti dell'epoca di Vespasiano e della dinastia flavia. Di seguito si riassumono sul tema specifico della decorazione architettonica l'articolo dI Pensabene e di Caprioli sullo stile decorativo flavio, quello di Tucci e quello di Pinna Caboni sugli ordini architettonici del templum Pacis (con commenti e osservazioni) e le singole schede su frammenti di decorazione esposti nella mostra (in generale viene riproposta una descrizione più dettagliata rispetto a quanto possibile per una scheda di catalogo). Segue il riassunto dell'inquadramento generale sui monumenti di Roma di epoca flavia di Coarelli e quello di due articoli sulla scultura (di Hölscher sui rilievi e di Zanker sui ritratti). Conclude la pagina l'elenco di tutti gli articoli del catalogo, con note sugli elementi di decorazione architettonica citati.

La decorazione architettonica

P. PENSABENE, F. CAPRIOLI, "La decorazione architettonica d'età flavia", 110-115.

L'intensa attività edilizia dopo l'incendio del 64 comportò una riorganizzazione delle officine e delle modalità di approvvigionamento dei marmi. Lo stile delle decorazioni venne influenzato dalle nuove mode iniziate già sotto Nerone[1] e parallelamente riflette le forme accelerate di produzione che si resero necessarie per far fronte al vasto programma ricostruttivo.

Un capitello corinzio di lesena proveniente dai portici costruiti da Nerone lungo la via Sacra[2] mostra di essere inserito nella tradizione giulio-claudia, derivante dai modelli tardo augustei e primo tiberiani[3], per la forma delle foglie e per particolari come l'orlo dei caulicoli con motivo a corda, ma è anche oggetto di una semplificazione dell'apparato decorativo: le foglie d'acanto sono appiattite (quasi prive della concavità dei lobi e con superficie del tutto piatta per le fogliette), con zone d'ombra ridotte, realizzate con il trapano, e con le solcature tra le nervature, rese con sottili incisioni, che non arrivano alla base del capitello nelle foglie della seconda corona.

Allo stesso gruppo appartengono anche altri capitelli di epoca tardo giulio-claudia[4]: le nervature delle foglie sono larghe e piatte, distinte da solcature quasi parallele, con un solco mediano sulla costolatura centrale, mentre le zone d'ombra tra i lobi sono strette e quasi verticali. Simili sono i capitelli del Museo nazionale romano provenienti da Nemi[5] e i capitelli reimpiegati nella chiesa di Santa Restituta a Napoli[6], sempre di epoca giulio-claudia. Questo stile più rapido è riflesso anche nei capitelli primo-flavi reimpiegati nella sinagoga di Ostia antica[7].

Due capitelli corinzi rinvenuti in posizione di caduta negli scavi del Foro di Cesare, provenienti forse dalle fasi cesariano-augustee e flavio-traianee del complesso e reimpiegati in una fase tarda del portico meridionale, illustrano nel modo più chiaro, grazie anche al loro ottimo stato di conservazione, le differenze tra la tradizione medio-augustea e le innovazioni flavie per i capitelli corinzi.

I cambiamenti comparsi in epoca giulio-claudia, inizialmente per ragioni tecniche dovute alla necessità di una più rapida lavorazione, si coagularono in uno stile caratterizzato da una serie di novità formali con l'epoca di Domiziano. Tra i cantieri aperti durante il suo regno sono databili al periodo iniziale il rifacimento del tempio di Giove capitolino, del quale resta un frammento di capitello corinzio in marmo pentelico, e il tempio di Vespasiano, mentre gli archi di Tito e di Domiziano sul clivo Palatino, in marmo pentelico, appartengono agli anni centrali del regno e la Domus flavia, in marmo prevalentemente lunense e nella quale inizia l'impiego del marmo proconnesio, la villa di Domiziano a Castel Gandolfo e il foro Transitorio, in marmo pentelico e lunense, agli anni finali. Nel Campo Marzio si ebbe la costruzione della porticus Divorum, mentre agli interventi successivi all'incendio dell'80 si deve la ricostruzione del portico di Ottavia (in pentelico, come mostrano i numerosi frammenti reimpiegati nel successivo restauro severiano).

Le officine impegnate nei grandi cantieri imperiali furono caratterizzate dalla ripresa di una ricerca di effetti decorativi basati sull'esuberanza dell'ornato, dispiegato su tutte le superfici di fregi e cornici, e su un accentuato chiaroscuro ottenuto in modo facile e rapido con profonde scanalature di trapano. Predominano motivi decorativi più ricchi, già utilizzati in epoca giulio-claudia, ma divenuti ora predominanti, come il kyma di foglie acantizzanti, l'anthemion con tralci intermittenti vegetalizzati, il kyma lesbio continuo vegetalizzato (ossia con il contorno interno dell'archetto frastagliato in fogliette) e il kyma ionico con freccette tra gli sgusci, in alcuni casi anch'esso con elementi vegetalizzati. Nei capitelli vengono sempre più spesso inseriti motivi figurati (trofei di armi, come nei capitelli del cosiddetto portico degli Dei consenti, o cornucopie, come nei frammenti di capitelli di lesena dal Palatino, in giallo antico[8], e dal templum Pacis[9], esposti in mostra).

Nei capitelli corinzi e compositi scompare l'aspirazione al naturalismo e all'eleganza plastica: la superficie delle foglie d'acanto è piatta e fortemente chiaroscurata con fitte e profonde solcature di trapano e zone d'ombra strette e verticali. Nella residenza del Palatino (alla figura 2 si riporta come esempio un capitello proveniente dal Pedagogium) e nelle ville imperiali (alle figure 3 e 4 un capitello di lesena nell'antiquarium di Castel Gandolfo[10] e un capitello corinzio dal teatro della villa) lo stile è più corrente e il chiaroscuro più esuberante che nei grandi templi romani, destinati a trasmettere il messaggio ideologico del principato di Domiziano.

Capitello corinzio in situ del tempio di Vespasiano nel Foro romano

I capitelli del tempio di Vespasiano illustrano il modello dell'architettura dei templi monumentali di epoca domizianea, che presenta varianti decorative limitate (la decorazione dei lati dell'abaco con kyma ionico e baccellature e quella dell'orlo dei caulicoli con kyma lesbio continuo): nei capitelli di maggiori dimensioni la costolatura centrale delle foglie delle due corone è arricchita da una membrana vegetale di rivestimento (una lunga e stretta foglia acantizzante), resa per mezzo di una serie di intagli obliqui sui margini; i vari piani sui quali si dispongono gli elementi decorativi permettono un effetto di profondità spaziale, accentuato dalla curvatura superiore del kalathos, con orlo sporgente e leggermente obliquo,

Capitello corinzio in situ del tempio di Venere Genitrice nel foro di Cesare

caratteristica che si ripete anche nei capitelli del tempio di Venere Genitrice del foro di Cesare, della prima età traianea. Le varianti decorative citate non coinvolgono più gli elementi strutturali del capitello, come spesso si era verificato in epoca giulio-claudia: questa elevata standardizzazione si deve alle modalità di organizzazione del lavoro, altamente specializzato, nelle officine urbane, che lasciava scarso spazio all'inventiva individuale degli scalpellini[11]. Nella decorazione della villa di Domiziano a Sabaudia, di minore qualità, si possono invece notare le differenze tra scalpellini più esperti e meno attenti.

L'esigenza di standardizzazione e la creazione di modelli standard, di più facile esecuzione in serie, si manifestò in tutte le parti architettoniche più importanti.

I capitelli corinzieggianti proseguono i modelli iconografici sviluppati in epoca augustea e sembrano essere realizzati più spesso in marmi colorati (come negli esemplari dal Palatino in marmo africano e in marmo pavonazzetto esposti in mostra[12]), mentre i capitelli compositi manifestano la medesima standardizzazione di quelli corinzi.

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Cornice con mensole della peristasi del tempio di Vespasiano, ricomposizione con frammenti originali e completamenti in stucco nella galleria del Tabularium nei Musei capitolini.
Cornice con mensole della peristasi del tempio di Vespasiano, elemento della facciata in situ (al di sotto della cornice è visibile anche l'anthemion di coronamento del fregio)

Per gli elementi della trabeazione si può distinguere una tendenza stilistica più classicista, esemplificata dalle cornici del tempio di Vespasiano e dell'arco di Tito. Vi vengono introdotti motivi decorativi come un anthemion particolarmente ricco sulla sima o sulla corona, nel quale la vegetalizzazione dei tralci intermittenti accentua l'effetto chiaroscurale, o un kyma di foglie (Blattkymation); nel kyma ionico gli ovuli nei loro sgusci sono separati da un elemento a forma di freccetta. La cornice del tempio di Vespasiano [13] presenta la sima decorata con un kyma di foglie lisce diritte, separata dalla corona per mezzo di un anthemion con tralci intermittenti a nastro, rivestiti inferiormente da due foglie lisce di profilo, da cui nascono palmette diritte, alternativamente aperte e chiuse, e doppi calici a V rovesci.

Cornice della trabeazione principale dell'arco di Tito

Le mensole sono decorate inferiormente da una foglia d'acanto, con le medesime caratteristiche delle foglie d'acanto dei capitelli, e incorniciate da un kyma lesbio continuo vegetalizzato, mentre i cassettoni, ornati al centro con rosette sono incorniciati solo da uno spesso listello. La fascia di appoggio delle mensole è decorata da un motivo a squame su due file: anche l'introduzione di una decorazione su questa fascia, normalmente liscia, accentua il chiaroscuro. Nella sottocornice, a partire dall'alto, si seguono un kyma ionico, dentelli, un elemento di separazione costituito da uno Spitzenstab vegetalizzato e un kyma ionico vegetalizzato, nel quale gli sgusci sono sostituiti dai margini suddivisi in lobi e fogliette di una foglia d'acanto che contiene l'ovulo, mentre quest'ultimo presenta la superficie intagliata con un motivo a girali a bassorilievo. La sottocornice è conclusa inferiormente da un altro Spitzenstab.

La cornice dell'arco di Tito presenta sulla sima un kyma di foglie, separato dalla corona con baccellature per mezzo di uno Spitzenstab. Le mensole sono ornate inferiormente da due delfini intrecciati, un motivo che si ritrova frequentemente nelle decorazioni flavie, ma in genere al posto dei tralci intermittenti dell'anthemion. La loro incorniciatura è costituita da un kyma lesbio continuo non vegetalizzato, nella tipica forma flavia, ovvero con contorno interno reso da un triangolo con lati concavi sormontato da un forellino di trapano, che semplifica la resa del lobo superiore. Il cassettone è incorniciato ugualmente da uno spesso listello, considerevolmente più sottile sul lato anterioreLa fascia di appoggio delle mensole è lasciata tradizionalmente liscia. La sottocornice è costituita da un kyma ionico a freccette, dentelli e un kyma lesbio seminaturalistico (ossia con lo spazio intermedio tra gli archetti del kyma lesbio continuo non incavato, in questo caso riempito da una piccola foglia triangolare) vegetalizzato. Le modanature principali sono separate da listelli e i dentelli sono di proporzioni ridotte, perdendo la loro consistenza tettonica.

Alcune cornici dei Palazzi imperiali sul Palatino
Cornice con mensole

Sima con anthemion a tralci intermittenti obliqui vegetalizzati, da cui nascono calici aperti diritti e doppi calici a V rovesci, separata per mezzo di un kyma lesbio continuo vegetalizzato dalla corona decorata con can corrente con semipalmette. Soffitto sorretto da mensole decorate inferiormente da una foglia palmettiforme e incorniciate da kyma lesbio continuo, con cassettoni con rosette incorniciati da listello. Sottocornice con kyma ionico a freccette, dentelli con motivo ad occhiali e kyma di foglie acantizzanti rovesce, con foglia liscia in secondo piano, separati da listelli.

Cornice con mensole angolare

Si conserva la sopracornice, con sima decorata da un anthemion con i tralci intermittenti obliqui rimpiazzati da delfini con le code intrecciate, alternati a calici d'acanto aperti nascenti da conchiglie, separata solo per mezzo di un sottile listello dalla corona, decorata con baccellature con lunetta inferiore. Soffitto è sorretto da mensole decorate inferiormente da foglie d'acanto, incorniciate da kyma lesbio continuo vegetalizzato, con cassettoni con rosette incorniciati da listello.

Cornice ionica (sopracornice)

Sima decorata con kyma di foglie d'acanto diritte ed è separata per mezzo di un piccolo kyma di foglie rovesce dalla corona, decorata da un anthemion nel quale i tralci intermittenti obliqui sono sostituiti da semipalmentte chiuse, che danno origine a calici d'acanto diritti e a doppi calici a V rovesci. Il soffitto, munito di peduncolo è decorato da una serie di candelabri vegetali a più calici sovrapposti, contrapposti simmetricamente. La prima modanatura della sottocornice è costituita da un kyma ionico

Cornice ionica angolare dalla Domus flavia (sopracornice)
Cornice ionica (sottocornice)

Sima decorata con un kyma di foglie d'acanto alternate a doppi calici a V, separata per mezzo di un kyma di foglie rovesce dalla corona, decorata con anthemion. Il soffitto è decorato con un anthemion nel quale i tralci intermittenti obliqui sono sostituiti da un motivo a due calici simmetricamente contrapposti (diritto e rovescio) che inquadrano spazi circolari nei quali nascono doppi calici alternati a palmette aperte. La sottocornice inizia con un kyma ionico. Un secondo frammento con la medesima decorazione del soffitto e corona sempre decorata con anthemion, forse pertinente alla medesima tipologia, conserva la sottocornice: sotto il kyma ionico sono presenti piccoli dentelli e un kyma di foglie lisce diritte con incavo centrale su gola diritta, a cui segue un astragalo a fusarole e perline. Le modanature sono separate da listelli.

Cornice ionica angolare

Sima decorata con anthemion con tralci intermittenti obliqui vegetalizzati che danno origine a calici compositi diversi diritti e rovesci. La sima è separata per mezzo di un astragalo a fusarole e perline dalla corona, decorata ancora da un anthemion, questo con tralci intermittenti obliqui trasformati in semipalmette, da cui nascono palmette aperte alternate a calici d'acanto, entrambi diritti, alternati a calici rovesci a V. Il soffitto è decorato da due file di squame. La sottocornice comprende un kyma ionico, dentelli e un secondo kyma ionico seguito da un astragalo a fusarole e perline, separati da listelli.

L'altra tendenza, più corrente, che si ritrova anche nei capitelli, è caratterizzata dalla perdita delle proporzioni gerarchiche tra le diverse modanature o tra gli elementi decorativi: nell'anthemion, ad esempio i tralci vegetalizzati assumono la medesima importanza dei calici che da essi nascono: l'effetto è un'accentuazione ancora maggiore degli effetti chiaroscurali e dell'horror vacui. Esempi di questo stile sono le cornici dei palazzi imperiali sul Palatino (alla figura 6 è presentata una cornice del Pedagogium[14]). In entrambe le tradizioni vengono più frequentemente utilizzati motivi nuovi, già comparsi in epoca giulio claudia. Il kyma lesbio continuo compare come modanatura di separazione o di incorniciatura (incorniciatura dei cassettoni di una cornice di Nemi, raffigurata alla figura 7 del testo[15]).

Dentelli con motivo ad occhiali (conservato o spezzato) in un elemento del coronamento dell'attico del Foro di Nerva.
Astragalo con fusarole a cappelletto (fregio-architrave in marmo pavonazzetto dallo "Stadio" dei Palazzi imperiali sul Palatino)

Il kyma lesbio continuo vegetalizzato, comparso già in epoca augustea, ricorre di frequente, rovesciato, come decorazione della sima[16], o come incorniciatura dei cassettoni, o come modanatura di separazione tra le fasce dell'architrave (si cita come esempio il fregio-architrave con Vittorie tauroctone rinvenuto negli scavi del templum Pacis, mostrato alla figura 8[17]. I dentelli, a partire dall'epoca di Vespasiano, sono separati dal cosiddetto "motivo a occhiali" al posto della sbarretta[18]. Soprattutto nella produzione più corrente, ma anche in generale, si manifesta la tendenza a ridurre le dimensioni dei dentelli, che in epoca augustea sono invece più grandi rispetto alle altre modanature della sottocornice[19], a ridurre l'altezza della sopracornice rispetto alla sottocornice e a diminuirne la sporgenza, con un accorciamento della lunghezza delle mensole[20]. Vengono ancora introdotti motivi come il can corrente (o onda continua), in particolare sulle corone (esemplificato nella cornice del Pedagogium alla figura 6 e presente sul listello sopra la sima nella cornice del teatro della villa di Domiziano a Castel Gandolfo alla figura 12) o le fusarole dell'astragalo nella forma detta "a cappelletto (figura 13 dell'articolo con un frammento di cornice conservato tra il templum Pacis e la basilica Emilia).

Capitello corinzio del rifacimento severiano dei portici del templum Pacis a largo Corrado Ricci
Capitelli corinzi della fase adrianea in situ sul tempio di Vesta

Lo stile flavio, soprattutto nella sua versione più corrente prosegue per tutta l'età imperiale: i capitelli del tempio di Vesta, di epoca adrianea[21] e quelli del rifacimento severiano dei portici del templum Pacis (figura 13 con esemplare collocato a largo Corrado Ricci) sono per esempio frutto di una ripresa dello stile flavio motivata dal desiderio di riprendere la decorazione originaria di monumenti oggetto di restauro, ma con resa stilistica semplificata. Lo stesso fenomeno si riscontra nella copia di età severiana del fregio architrave con Vittorie tauroctone dal templum Pacis, che ripete le medesime dimensioni, il medesimo disegno nel motivo figurato del fregio e le stesse modanature del modello di epoca flavia, ma con una resa più meccanica, come visibile nell'anthemion del coronamento dell'architrave, dove nella copia severiana l'effetto chiaroscurale è ottenuto con l'uso del trapano e il disegno delle forme vegetali si è irrigidito ed è divenuto più schematico.

Tra le caratteristiche dello stile decorativo flavio va a questo proposito sottolineata, soprattutto negli esemplari più raffinati delle grandi officine urbane, ma presente in minor misura in tutte le decorazioni dell'epoca, una resa caratterizzata da un'accentuata sottolavorazione[22]. Questa si manifesta nei singoli elementi delle modanature decorate o delle decorazioni vegetali, che risultano lavorati a volte quasi a giorno, collegati allo sfondo solo da tratti sottili di marmo, ma si estende inoltre all'insieme delle modanature, nelle quali gli spazi incavati, spesso sottili, tra gli elementi della decorazione si sviluppano in profondità ben al di sotto della modanatura soprastante. Questa sottolavorazione spesso è oggi percepibile nella differenza tra tratti ben conservati delle modanature e tratti più rovinati, dove oggi è diventata visibile la superficie dello sfondo, in origine nascosta al di sotto degli elementi della decorazione andati perduti. L'effetto era quello di aumentare il contrasto chiaroscurale, evidenziando le decorazioni e la loro ricchezza e negli esempi più tardi (foro di Nerva e rifacimento traianeo del tempio di Venere Genitrice nel foro di Cesare, ancora in stile flavio) le decorazioni raggiungono una raffinatezza quasi virtuosistica, che si accompagna ad una fine modulazione delle superfici. Questa resa chiaroscurale, sarà semplificata nella successiva evoluzione dello stile e in particolare nelle riprese dei restauri severiani, attraverso l'uso di solchi di trapano, ma senza la sottolavorazione tipica di quest'epoca.

La conclusione dell'articolo rileva come i lavori promossi da Domiziano evidenzino l'affermazione di uno stile decorativo architettonico ben distinguibile dai precedenti. I capitelli corinzi manifestano una resa volumetrica massiccia animata dalla sporgenza plastica degli elementi vegetali fortemente trapanati e chiaroscurati. Nell'acanto compaiono tendenze antinaturalistiche, nel contrasto tra la zona centrale della foglia, piatta e scanalata e gli articolati lobi a fogliette allungate, e nella meccanica sovrapposizione delle due corone, con le scanalature delle foglie superiori che non giungono alla base del capitello. La vegetalizzazione degli elementi delle modanature decorate ricopre tutte le superfici, facendo perdere la gerarchia tra le modanature. Il linguaggio decorativo passa dal precedente naturalismo a forme incentrate sull'apparenza e sugli effetti di luce ed ombra nell'intaglio.

Architettura del templum Pacis

P. L. TUCCI, "Nuove osservazioni sull'architettura del Templum Pacis, 158-165 (con osservazioni in nota)

Nell'articolo, in base alle tracce conservate sul muro di fondo nell'attuale chiesa dei Santi Cosma e Damiano, si ipotizza un tetto a doppio spiovente per il portico del templum Pacis, nascosto da un attico a risalti: si riprenderebbe dunque il modello del Foro di Augusto, con il quale corrisponderebbe inoltre la misura dell'ordine. In base alla somiglianza con il Foro di Augusto, Tucci ritiene inoltre che i fusti della fase vespasianea dovessero essere scanalati e in marmo giallo antico come quelli dei portici del foro di Augusto e che fossero stati rimpiazzati da quelli rinvenuti negli scavi, in granito rosa, nel restauro severiano. I dati dai quali si ricava questa diversa ricostruzione dei portici sono comunque ach'essi riferiti alla fase severiana, alla quale appartiene la parte alta dei muri su cui sono state lette le tracce.

Secondo Tucci, inoltre, il numero complessivo delle colonne dei portici doveva raggiungere la cifra di 100, come nella cosiddetta Biblioteca di Adriano ad Atene: dieci e dieci ai due lati del pronao, ventisei su ciascuno dei lati e sul lato di ingresso ventidue (e non venti come generalmente ricostruito[23].

Ancora secondo Tucci la pendenza della piazza (che presenta il lato di fondo di circa 1 m più basso), non era risolta nei portici laterali con fusti progressivamente più bassi, in base alle quote delle tracce dei capitelli delle lesene, ma con una trabeazione leggermente inclinata[24].

Anche i fusti colossali della facciata dell'aula di culto dovevano essere in origine secondo Tucci in altro materiale, sostituiti poi dopo l'incendio con quelli in granito rosa, ai quali si collegano capitelli corinzi in marmo proconnesio. Gli scavatori riferiscono per questi fusti un diametro di 180 cm, che tuttavia secondo Tucci potrebbe essere stato misurato in corrispondenza del rigonfiamento dell'entasi. La sua ricostruzione ipotizza che la colonna avesse complessivamente un'altezza pari a 17,82 m, corrispondenti a 60 piedi con una misura del piede pari a 29,7 cm[25]. Ritiene inoltre che le proporzioni fossero le medesime di quelle del tempio di Marte Ultore nel Foro di Augusto, con diametro alla base pari a 1/10 dell'altezza della colonna (ossia di 178,2 cm pari a 6 piedi) e con fusti di 50 piedi (14,85 m), capitelli di 6 piedi e 2/3 (198 cm) e basi di 3 piedi e 1/3 (98,9 cm). Simili proporzioni, canonizzate proprio nel foro di Augusto secondo Wilson Jones, si riscontrano anche nel tempio di Vespasiano e secondo Tucci è possibile che i fusti dell'aula di culto della fase vespasianea fossero ugualmente scanalati e in marmo bianco[26].

L'articolo termina con altre osservazioni dell'autore sulle aule di fondo e la loro funzione.


B. PINNA CABONI, "Considerazioni sulla decorazione architettonica della piazza del Templum Pacis", 197-199.

I portici laterali del templum Pacis, di ordine corinzio e con fusti in sienite, erano rialzati di circa 1,5 m rispetto al piano della piazza per mezzo di quattro gradini rivestiti in marmo. Uno dei capitelli corinzi del portico, rinvenuto nelle murature medioevali della torre dei Conti è oggi rimontato sopra un troncone di fusto a largo Corrado Ricci. La pavimentazione originaria è indicata in lastre di marmo bianco, in seguito sostituite da una pavimentazione in cocciopesto. Il tetto dei portici presentava tegole e coppi marmorei[27] e antefisse con palmette, mentre la cornice presentava una sima liscia con gocciolatoi a protome leonina, un frammento della quale è stato rinvenuto negli scavi giubilari[28]. Il lato settentrionale presentava fusti in marmo africano di maggiori dimensioni e un tratto della piazza pavimentato con lastre di marmo. A questo colonnato si attribuisce tradizionalmente una trabeazione aggettante.

La definizione degli alzati è resa difficile dallo stato frammentario degli elementi rinvenuti, spesso ritagliati per un riutilizzo come materiale da costruzione e rinvenuti in giacitura secondaria, come rimasugli dei massicci interventi di spoliazione che interessarono il complesso in epoca alto-medioevale. L'insieme dei frammenti consente tuttavia di riconoscere la compresenza di elementi con la medesima successione di modanature realizzati in epoca flavia (in marmo lunense) e copiati (in marmo proconnesio), con resa diversa in epoca severiana, in occasione del restauro seguito all'incendio del 192. I frammenti appartengono ad architravi, cornici con mensole, soffitti cassettonati, con anthemia a calici e palmette, kymatia lesbi continui vegetalizzati o kymatia di foglie.

I due elementi maggiormente conservati rinvenuti negli scavi sono costituiti da due fregi architrave con Vittorie tauroctone, identici per misure e successione delle modanature, ma che evidenziano nella differente resa degli stessi motivi l'appartenenza rispettivamente all'epoca flavia e all'epoca severiana. Le misure di questi blocchi non permettono tuttavia di attribuire questo fregio alla trabeazione dei portici laterali[29]; inoltre la forma dei blocchi e la disposizione dei lacunari sul soffitto sembra indicare la loro pertinenza ad una trabeazione articolata in avancorpi (ad una trabeazione con parti aggettanti e frontoni sembrano attribuibili anche frammenti di cornice rinvenuti negli scavi). Questa trabeazione potrebbe essere invece pertinente ad un piccolo edificio absidato inserito nello spazio di risulta tra il templum Pacis e la basilica Emilia, forse un ninfeo.

Dei portici laterali sono ricostruibili le misure dei fusti dei portici, di circa 30 piedi di altezza[30], che, insieme alla base[31] e al capitello[32], corrisponde ad una colonna alta complessivamente tra 10,17 e 11,23 m[33]. I frammenti di capitelli rinvenuti sono tutti attribuibili stilisticamente alla fase severiana. Simili dimensioni doveva avere anche l'ordine di lesene sul muro di fondo del portico con fusti scanalati (ma apparentemente non rudentati) in marmo giallo antico, con prevalenza della varietà rosata. Dal rivestimento parietale tra le lesene, in marmi colorati, sono conservati numerosi frammenti di incorniciature e lastre, soprattutto in marmo pavonazzetto e giallo antico. È probabile che fossero presenti anche nicchie o edicole, testimoniate dal rinvenimento di frammenti pertinenti alla parte obliqua del frontone.

Il colonnato con fusti in marmo africano del lato meridionale è difficilmente ricostruibile in alzato, a causa della spoliazione subita e che ha riguardato in particolare i marmi bianchi, più facilmente riutilizzabili. I fusti in marmo africano mostrano segni di restauri, forse in seguito ai danni per l'incendio del 192 e sono di dimensioni maggiori di quelli dei portici laterali in sienite[34]: formano insieme alla base[35] e al capitello[36] una colonna alta tra 12,28 e 13,74 m[37].

Elementi degli ordini architettonici

Cornici

Tegole e coppi (n. catalogo 35) e sima con gocciolatoio a protome leonina dai portici del templum Pacis
  • 36 - Frammento di sima con protome leonina (A. CORSARO, 445): rinvenuto in una fossa di spoliazione medievale negli scavi del tempio della Pace nel 2004, in marmo lunense. La sima a gola diritta era limitata inferiormente un listello; sul piano superiore era incavato un canale di gronda di cui si conserva solo parte del fondo. La protome manca del foro passante (come ricorda Vitruvio, sulle sime si alternavano protomi piene, sopra gli intercolumni, e forate, in corrispondenza delle colonne[38]. Un simile elemento di sima con protome leonina, di maggiori dimensioni, è stato rinvenuto nello scavo dell'aula di culto della Pace, mentre questo frammento potrebbe essere attribuito ai portici.
Cornice ionica attribuita all'arco di Domiziano sul clivo Palatino
  • 108 - Cornice sulla piattaforma dell'Arco di Domiziano (K. IARA, 504): Elemento di cornice ionica in marmo bianco, alto 62 cm, rinvenuto nelle immediate vicinanze della fondazione sul clivo Palatino attribuita all'arco di Domiziano e considerata pertinente a questo monumento[39]. La sima presentava un kyma di foglie d'acanto, appena riconoscibile nella piccola parte conservata ed era separata per mezzo di piccoli dentelli quadrati, privi di elementi intermedi, dalla corona, decorata con una serie di palmette aperte alternate a calici d'acanto. Il soffitto è ornato da una serie di baccellature con margini piatti e quasi metà dell'altezza occupata da una triplice lunetta. Nella sottocornice segue un kyma ionico con piccoli ovuli tronchi superiormente e assottigliati inferiormente contenuti in sgusci a largo nastro piatto, separati da freccette con ampia punta, piccoli dentelli quadrati privi di elementi intermedi, un kyma di foglie rovesce con superficie piatta, separate da ghiande e un kyma lesbio continuo con spazi interni a triangolo sormontati da forellino centrale. Le modanature sono separate da listelli. La lavorazione è piuttosto sciatta, con gli elementi delle modanature decorate la cui superficie piatta segue principalmente il profilo della modanatura lisci nella quale sono ritagliati, ma gli spazi incavati sono approfonditi sotto il listello superiore secondo modalità tipiche della decorazione flavia; i dentelli hanno perso ogni significato tettonico, tanto da essere impiegati come modanatura di separazione tra sima e corona[40].

Fregi-architrave

Fregio-architrave con Vittorie tauroctone rinvenuto negli scavi del templum Pacis
  • 37 - Frammento di fregio architrave con Vittoria tauroctona(B. PINNA CABONI, 446): rinvenuto nella stratigrafia medievale dello scavo del tempio della Pace (1998-2000), in marmo lunense. Fregio con Vittoria in atto di sacrificare un toro, della quale si vede solo la gamba sinistra distesa circondata dalla veste svolazzante dietro la figura, chiusa da un nodo sul ventre, parte del braccio destro e parte dell'ala in secondo piano. Il coronamento è costituito da un listello con margine inferiore sottolavorato, un anthemion con tralci intermittenti obliqui vegetalizzati, da cui nascono calici diritti e palmette aperte alternate ad un diverso tipo di calice, entrambi rovesci. Segue un astragalo con perline ovali allungate e coppie di fusarole "a cappelletto". La prima fascia è separata dalla seconda per mezzo di un kyma lesbio continuo vegetalizzato. Un altro elemento della medesima trabeazione, ma in marmo proconnesio e attribuibile al restauro severiano[41], conserva dietro la Vittoria un candelabro.
Fregio-architrave curvilineo concavo, in marmo pavonazzetto, dall'Ippodromo dei palazzi imperiali sul Palatino (parte del lato anteriore concavo, particolare della decorazione del fregio, lato inferiore con lacunare)
  • 107 - Frammento di trabeazione decorata su due lati: architrave con resti della zona del fregio (K. IARA, 504): rinvenuto in scavi ottocenteschi nel cosiddetto "Ippodromo" del Palatino, in marmo pavonazzetto, si tratta di un fregio-architrave, con andamento curvilineo[42], decorato sui due lati opposti (ma con fregio solo sbozzato e modanature di separazione lisce sull'architrave nel lato convesso), alto complessivamente 59 cm (29 cm di fregio e 30 cm di architrave)[43]. Il fregio[44] è decorato con fronde di ulivo e tracce di un uccello al centro, mentre all'estremità sinistra si conserva una maschera teatrale tragica. L'architrave è coronato con un listello decorato con il motivo detto "can corrente" e con un kyma di foglie rovesce, con elementi intermedi costituiti da sottili calici a due foglie, ed è suddiviso in tre fasce separate da un astragalo, con perline ovali appuntite alternate a coppie di fusarole a cappelletto, e da un kyma lesbio continuo con spazio interno degli archetti a triangolo e forellino di trapano. Il piano inferiore è occupato per quasi l'intero spessore da un lacunare con lati corti incurvati per lasciare spazio ai fiori dell'abaco dei sottostanti capitelli; l'incorniciatura è costituita da un kyma di foglie simile a quello del coronamento, mentre il pannello centrale bombato è ornato da un tralcio di vite nascente da un cespo d'acanto. Un altro elemento simile, con fronde di alloro e cetre decorate da delfini nel fregio era stato disegnato dal Dosio. Nella scheda le fronde di ulivo sono interpretate come un riferimento a Minerva, mentre la maschera teatrale e la vite a Dioniso. L'elemento è datato all'età neroniana o primo flavia, in base alla finezza della lavorazione[45].
Frammento di fregio-architrave dall'Aula regia dei palazzi imperiali sul Palatino
  • 110 - Frammento di fregio architettonico (F. DE POLIGNAC, 507): il frammento proviene dagli scavi Farnese del 1724-1730 e fu disegnato negli Orti farnesiani dall'architetto Charles-Louis Clérisseau tra il 1750 e il 1760 ed è attribuibile al primo ordine dell'Aula regia; altri frammenti della collezione Farnese, pertinenti forse al fregio del secondo ordine, sono oggi al Museo archeologico nazionale di Napoli. Si conserva il fregio con traccia di un erote stante (di cui sono visibili solo i piedi) e girali d'acanto i che avvolgono al centro animali in corsa (di cui è visibile un cervide), del tipo dei "peopled scrolls"; un uccello (raffigurato nel disegno settecenteso, ma oggi sarsamente visibile) poggiava sui racemi d'acanto davanti all'animale in corsa. L'architrave conserva il coronamento, con listello, anthemion a tralci intermittenti vegetalizzati obliqui da cui emergono palmette aperte e calici di acanto, entrambi diritti, alternati a calici pendenti di diversa forma, e un astragalo con perline ovali leggermente appuntite alternate a coppie di fusarole a cappelletto, con stacco piuttosto netto tra la parte a disco contigua alla perlina e la parte arrotondata.
Fregio dalla Domus augustana
  • 111 - Frammento di fregio architettonico con animale emergente da racemo (F. DE POLIGNAC, 507): proveniente dagli scavi di Pietro Rosa per conto di Napoleone III (1861-1870), si tratta di un fregio con al centro un amorino emergente da un calice d'acanto rovesciato, dal quale emergono tralci che danno origine a girali, le quali avvolgono al centro un animale in corsa. Inferiormente, al di sotto di un sottile listello è presente un kyma lesbio trilobato con archetti a largo nastro leggermente concavo entro i quali si alternano tre diversi motivi pendenti: una palmetta aperta, un calice a due foglie lisce a V con cime ripiegate e un calice d'acanto; il fiore a tulipano presenta un accentuato rigonfiamento dei petali laterali, quasi distinti dalla loro cima ripiegata che si collega al margine interno rilevato. Un semplice gradino separa la modanatura decorata dalla fascia liscia sottostante[46]. L'uso del kyma lesbio trilobato al posto del più consueto anthemion e la resa poco accurata hanno indotto a proporre per il pezzo una datazione in epoca severiana.

Capitelli figurati e fusti decorati

Frammento di capitello di lesena con bucrani e ghirlande dall'aula di culto del templum Pacis, in marmo pavonazzetto
  • 39 - Frammento di capitello figurato di lesena con bucranio ghirlandoforo (C. GIATTI, 448): proviene dagli scavi dell'aula di culto del templum Pacis, in marmo pavonazzetto e datato all'età severiana. Il bucranio, con la fronte cinta da un'infula a perline, si trovava all'estremità del capitello, sagomato secondo la sua forma decorativa e sostiene una ghirlanda di foglie d'alloro, che copre in parte una scure. I lati dell'abaco sono modanati con un listello e un piatto cavetto, coperto dal bucranio all'estremità. Nell'aula sono stati rinvenuti numerosi altri frammenti di questa tipologia, che presentava alla base una corona di foglie d'acanto. La resa schematica del bucranio e il trattamento della superficie con uso abbondante del trapano hanno suggerito una datazione al rifacimento severiano.
Frammenti di capitello di lesena con bucrani e ghirlande dall'aula di culto del templum Pacis, in marmo pavonazzetto
  • 40 - Frammenti di capitelli figurati di lesena decorati con cornucopie ghirlandofore (C. GIATTI, 448-449): come il precedente proviene dagli scavi dell'aula di culto del templum Pacis, in marmo pavonazzetto e datato all'età severiana. Tutti fanno parte della decorazione parietale dell'aula che presentava capitelli figurati, basi e fusti in marmo pavonazzetto di almeno due diverse misure (più piccole del capitello con bucrani) per questa tipologia (con larghezza inferiore di 45 oppure di 35 cm). Alla base era una corona di foglie d'acanto con lobi frastagliati, ciascuno dei quali si sovrappone parzialmente a quello superiore. Dietro le foglie nascevano due cornucopie che giungevano agli spigoli dell'abaco in funzione di volute, tra le quali si dispegava una ricca ghirlanda di fiori e frutti. Il confronto più vicino è con esemplari provenienti dal Palatino, di resa più raffinata ma con lo stesso disegno: qui le superfici sono rese a rilievo piatto e animate solo dall'uso del trapano, suggerendo una datazione in epoca severiana. Anche in questo caso la scelta fu quella di copiare, nello stile dell'epoca, le decorazioni originali.
Fusto decorato di lesena in marmo giallo antico, dalla Domus augustana
  • 112 - Frammenti architettonici figurati (capitello di lesena con cornucopia) (S. FOGAGNOLO, 509: in marmo giallo antico, provenienti dagli scavi effettuati dall'abate Rancoureil nella parte inferiore della Domus augustana (seconda metà del Settecento) e identificabili grazie al resoconto di Guattani[47]. La resa stilistica particolarmente raffinata è la medesima per tutti i frammenti e la datazione varia tra l'epoca flavia[48] o quella neroniana[49]. I frammenti sono attribuibili alla decorazione in opus sectile del piano inferiore della Domus augustana, con le lesene collocate nella fascia mediana delle pareti[50].
Capitello corinzieggiante di lesena con cornucopie, in marmo giallo antico
Capitello figurato di lesena con aquila e vipera, in marmo giallo antico e frammento di rilievo (112 D)
    • E (n.5 nella figura): frammento di capitello di lesena con aquila e vipera. Si conserva l'angolo superiore destro di un capitello di lesena, con abaco modanato con ovolo e cavetto, al quale si sovrappone un serpente, con corpo sinuoso dalle squame ben individuate e parte di un'aquila, con accurato dettaglio delle penne.
    • F-M (n.6 nella figura): capitello di lesena con cornucopia. Si tratta di frammenti di capitelli corinzieggianti figurati di lesena di diverse dimensioni, con il medesimo schema decorativo. Alla base del capitello è presenta una foglia centrale d'acanto affiancata da due foglie angolari palmettiformi; dietro le foglie si originano due cornucopie, in funzione di volute, che sostengono una ghirlanda di frutti e foglie. L'abaco, modanato con piccolo ovolo liscio e cavetto limitato superiormente da un sottile listello, è coperto alle estremità dai frutti traboccanti dalle cornucopie e presenta al centro un fiore dell'abaco con corolla a petali frastagli e bottone centrale segnato da un forellino di trapano.
    • A-C (nn.1-3 nella figura): frammenti di lesena con tralci vegetali e con cratere. Il fusto decorato della piccola lesena (larghezza circa 18 cm) è incorniciato su tutti i lati da due tondini con fascia leggermente rilevata al centro, separati da due sottili fasce incavate, a cui segue verso l'interno una solcatura più profonda, che separa l'incorniciatura dal sottile tondino che costituisce il margine del pannello centrale decorato. La decorazione consiste in un tralcio giraliforme sul quale si presentano in successione foglie e bacche di almeno tre essenze vegetali diverse, comprese foglie di vite con grappoli d'uva. Nel frammento superiore è visibile un uccellino intento a beccare una delle bacche.I l frammento inferiore mostra che il tralcio doveva nascere da un cratere, con alto piede svasato, corpo decorato da baccellature e protomi umane alla base delle anse.
    • Alla stessa serie appartiene anche (D, n.4 nella figura) un frammento figurato con grifone, forse a testa leonina, in posizione seduta.

Dono Hartwig

Frammenti dalla decorazione del tempio Gentis Flaviae (nn. catalogo 52 e 56, Museo nazionale romano di Roma e Kelsey museum of archaeology di Ann Arbor)
R. PARIS, "Sculture dal Templum Gentis Flaviae, 460-461.

Nove frammenti scultorei furono acquistati da Paul Hartwig nel 1901 sul mercato antiquario e donati al Museo nazionale romano. I frammenti provenivano dai lavori per la sistemazione di piazza Esedra, presso il portico nord della piazza. Altri frammenti della medesima provenienza acquistati da Francis W. Kelsey sono attualmente ospitati nel Kelsey museum of archaeology di Ann Arbor; un altro frammento oggi scomparso era stato vincolato come proprietà di un privato di Firenze. Datati inizialmente all'epoca di Caracalla, la presenza di un ritratto dell'imperatore Vespasiano, riconosciuto come appartenente allo stesso insieme, ha permesso di riconoscere la datazione domizianea e di attribuire il rilievo alla decorazione al tempio della gens Flavia. I frammenti sono in marmo pentelico.

  • 52 - Elemento di trabeazione angolare con parte di capitello (R. PARIS, 462: il frammento conserva la parte superiore di un capitello a foglie di palma e la soprastante trabeazione sporgente, decorata su tre lati. La cornice semplificata, priva di soffitto comprende dall'alto una sima con kyma di foglie, un astragalo a sole perline ovali, un kyma di foglie rovesce[51], piccoli dentelli quadrati con incasso rettangolare sulla fronte, un altro astragalo a sole perline e un kyma di foglie lisce rovesce. Il fregio presenta coppie di grifoni a testa leonina, seduti e affrontati davanti ad un candelabro disposto sugli spigoli del blocco, sul quale poggiano la zampa anteriore; le coppie di grifoni sono dunque disposte su un fianco e sul lato anteriore, dove due grifoni seduti sono disposti dandosi il dorso e con le code che si intrecciano. L'architrave è coronato da un listello e da un kyma di foglie lisce rovesce e presenta due sole fasce, separate da uno Spitzenstab con trattino incavato sulle fogliette. Il capitello presenta fronde mosse e incurvate, con superfici modulate e separate da tratti di trapano.
  • 53 - Elemento di trabeazione angolare aggettante con parte di capitello (R. PARIS, 462): rispetto all'esemplare precedente il capitello presenta fronde prive dell'intaglio del trapano e i grifoni del fregio si presentano sul fianco sinistro in posizione eretta, con alle spalle un altro candelabro.
  • 56 - Frammento di trabeazione (E. K. GAZDA, 465: si tratta di uno dei frammenti del museo di Ann Arbor, che conserva un tratto rettilineo della medesima trabeazione con due grifoni eretti affrontati di fronte ad un candelabro sul quale non poggiano la zampa. Al di sopra della cornice è presente un attico, con un rilievo limitato superiormente e inferiormente da listelli. Vi è raffigurato un grifone a testa d'aquila seduto di fronte ad un candelabro, con la testa rivolta all'indietro e con la coda intrecciata con quella di un altro grifone non conservato.

Elementi di rivestimento dal Palatino

M. A. TOMEI, "I marmi palatini Rosa", 498

Durante gli scavi effettuati da Pietro Rosa tra il 1861 e il 1870 negli Orti farnesiani, allora proprietà dell'imperatore Napoleone III, ed estesi in diverse aree, furono rinvenuti una serie di elementi in marmi colorati che furono allestiti in un museo collocato all'interno della Domus tiberiana e riportati in un catalogo del 1881 da Ghirardini e in seguito in parte dispersi.
NB: Le piccole imprecisioni nelle terminologia della decorazione architettonica impiegata nelle seguenti schede di catalogo sono state corrette nella sintesi.

Capitello corinzieggiante di lesena in marmo africano
  • 101 - Capitello di lesena corinzieggiante (K. IARA, 498): in marmo africano e alto 13 cm, conserva la metà destra. Appartiene alla tipologia dei capitelli corinzieggianti a doppia S: la voluta è sostituita dal lobo maggiore, con cima arrotolata a spirale, di una semipalmetta chiusa[52] che occupa la parte superiore destra; all'angolo inferiore è una foglia acantizzante. L'abaco è costituito da un cavetto, semplificato in una superficie obliqua con listello superiore e in un piccolo ovolo liscio schiacciato. Nella scheda si riferisce l'impossibilità di proporre una datazione stilistica per questo pezzo[53].
Fusto decorato di lesena in marmo pavonazzetto
  • 103 - Frammento di lastra di rivestimento parietale (probabilmente una lesena) (K. IARA, 500): in marmo pavonazzetto, si tratta del fusto decorato di una piccola lesena, incorniciata sui lati da un listello e da una piccola gola rovescia liscia e ornata da un candelabro vegetale da cui si dipartono rami con foglie di ulivo o di alloro che portano diversi frutti e in particolare melograni. Su uno dei rami poggia un uccellino intento a beccare un frutto. Il rilievo non sporge molto dal fondo, ma le superfici sono raffinatamente modulate e con grande varietà di disegno, con una lavorazione fine paragonabile a quella dei capitelli nn.105 e 106.
Capitello composito in marmo giallo antico
  • 104 - Capitello di colonna composito (K. IARA, 501): in marmo giallo antico, alto 18 cm, segue il modello standard del capitello composito, ma privo dei viticci fioriti nella parte superiore del kalathos. Nella parte inferiore sono presenti due corone di foglie d'acanto con lobi separati da zone d'ombra realizzate con tratti curvilinei di trapano; le foglie della seconda corona presentano solcature di trapano tra le nervature, mancanti nella prima corona, che tuttavia non arrivano alla base del capitello. Sopra l'orlo a listello del kalathos è presente un astragalo con perline ovali appuntite e fusarole a disco[54], collegate da trattini di risulta, e al di sopra l'echino è intagliato con un kyma ionico con ovuli e freccette[55], con sgusci collegati superiormente da una lunetta. Il canale delle volute è interamente occupato da una fronda vegetale che si conclude con una piccola rosetta nell'occhio della voluta. I lati dell'abaco sono decorati con un sommario kyma ionico sull'ovolo superiore e con ridotte baccellature, quasi irriconoscibili a causa delle piccole dimensioni[56].
Frammento di capitello corinzieggiante di lesena in marmo pavonazzetto (n. catalogo 105)
  • 105-106 - Capitello di lesena corinzieggiante con motivo a lira (K. IARA, 502-503): due capitelli in marmo pavonazzetto nello schema a lira. Alla base del kalathos sono foglie acantizzanti angolari, dietro le quali nascono simili foglie allungate con la cima arrotolata a spirale, in funzione di volute. La foglia centrale, lanceolata e con solcatura centrale è affiancata da due sottili viticci ad S, rivestiti inferiormente da una foglia allungata e terminante in una girale con grande rosetta terminale; un balteo a nastro unisce i viticci nel punto in cui sono maggiormente accostati e serra anche lo stelo da cui nasce il fiore dell'abaco a calice fogliaceo, nascente da un bulbo o calice chiuso a goccia. I lati dell'abaco sono modanati al di sopra del listello leggermente obliquo dell'orlo del kalathos, con un sottilissimo tondino e un cavetto con sottile listello superiore. La raffinatezza della lavorazione e la modulazione delicata delle superfici hanno permesso di ipotizzare una datazione in epoca neroniana o primo-flavia.

Altri materiali architettonici

Tegole e coppi e sima con gocciolatoio a protome leonina (n. catalogo 36) dai portici del templum Pacis
  • 35 - Tegole e coppi (B. PINNA CABONI, 444): rinvenute in contesti tardo-antichi e medievali dello scavo del tempio della Pace (1998-2000), in marmo proconnesio, attribuibili alla copertura dei portici del tempio della Pace nella fase del restauro severiano. Altre tegole analoghe furono reimpiegate nelle pavimentazioni degli edifici commerciali installatisi nel IV secolo su parte della piazza. Di forma trapezoidale, alettate e mammatae, le tegole presentano ad una estremità un incasso per l'appoggio alla tegola adiacente della stessa fila. I coppi hanno sezione pentagonale. Tegole e coppi sono rifiniti a gradina sulla superficie superiore e sbozzate a subbia in quella inferiore, tranne che lungo i margini. Dalle fonti sappiamo che il primo edificio con tegole marmoree era stato l'aedes Fortunae equestris dedicato nel 173 a. C. da Quinto Fulvio Flacco, che reimpiegava le tegole del santuario di Hera Lacinia a Crotone. Tegole marmoree sono documentate sul propileo del portico di Ottavia (rifacimento severiano) e sul Pantheon, in marmo proconnesio.

Decorazioni su altri elementi

  • 2 - Ara sepolcrale di Antonia Caenis, concubina di Vespasiano (D. NONNIS, 405): rinvenuta in un fondo di proprietà della defunta, poi passato al patrimonio imperiale, sulla via Nomentana poco fuori porta Pia, l'ara presenta è decorata agli angoli da lesene con capitelli corinzieggianti figurati (due corone di foglie lisce alla base, disposte quasi come un kyma lesbio continuo rovesciato, e parte superiore con bucrani al posto delle volute che sostengono ghirlande), fusti decorati con candelabri vegetali con crateri, basi attiche.
  • 71 - Angolo di tempio (T. HÖLSCHER, 473): conservato nell'Antiquario forense e presumibilmente proveniente dal Foro Romano, in marmo lunense. Conserva l'estremità di un rilievo addossata al fianco liscio di una lesena sporgente, con fusto decorato da girali d'acanto (a cui sembrano intrecciarsi steli di altre essenze vegetali) e incorniciatura verticale probabilmente a kyma lesbio continuo vegetalizzato, molto abraso e quasi irriconoscibile[57]. Del rilievo resta l'angolo superiore di un tempio con il frontone e la sottostante trabeazione: cornice con mensole e sottocornice con dentelli e kyma ionico, fregio liscio e parte dell'architrave con coronamento liscio. All'angolo del frontone l'acroterio è identificato con una Vittoria in atto di inginocchiarsi sopra un toro.
  • 102 - Frammento di rilievo con raffigurazione di un grifone con un tripode (K. IARA, 499): facente parte della collezione dei marmi Rosa, in marmo lunense, conserva l'angolo superiore destro di un rilievo incorniciato da un anthemion con tralci intermittenti obliqui vegetalizzati da cui nascono calici d'acanto diritti e rovesci di varie forme. Il rilievo mostra un grifone a testa d'aquila di fronte ad un tripode con una corona d'alloro e riccamente decorato. Datato in età flavia.
Ara funeraria di Antonia Caenis, dalla via Nomentana
Frammento di rilievo con edificio templare e fusto decorato di lesena, dal Foro romano
Rilievo con grifone, dalla Domus augustana

I Flavi e Roma

F. COARELLI, "I Flavi e Roma", 68-97.

Sulla base delle fonti antiche, delle raffigurazioni su monete e rilievi, dei resti degli edifici antichi, Coarelli esamina edifici e monumenti costruiti sotto la dinastia flavia, evidenziandone scopi e funzioni e ricostruendo la trasformazione dello spazio urbano, legata alla nuova concezione del potere imperiale dovuta in particolare a Domiziano.

L'arrivo di Vespasiano a Roma è marcato dalla scelta di celebrare il trionfo nelle tradizionali forme repubblicane, sebbene si introduca la novità di due trionfatori, Tito e Vespasiano su due quadrighe, accompagnati da Domiziano a cavallo. A Roma fu necessario iniziare i lavori di ricostruzione dopo le grandi distruzioni dell'incendio del 64: fino a quel momento si erano sgomberate le macerie e Nerone si era interessato esclusivamente della Domus aurea. Sotto Vespasiano si ebbe la ricostruzione delle infrastrutture viarie e di luoghi sacri ancestrali della religione tradizionale (forse legati alla patria sabina di Vespasiano). Nel 75 venne inoltre ampliato il pomerio, che in gran parte seguiva ancora il confine tracciato da Claudio, ad eccezione di un ampliamento nella zona di Trastevere: il pomerio, non troppo distante dal successivo tracciato delle mura aureliane, serviva anche come linea daziaria.

A questi interventi si accompagnò la costruzione ex-novo di grandi complessi monumentali, il primo dei quali fu il tempio della Pace, che, come afferma Flavio Giuseppe, venne eretto con il bottino della presa di Gerusalemme. La dedica alla Pace, divinità già introdotta da Augusto, si riferisce a quella ristabilita dopo la sconfitta dei nemici esterni (la rivolta giudaica) ed interni (avversari nelle guerre civili), pace ottenuta grazie alle attività militari e organizzative dell'imperatore. Inizialmente separato dai Fori imperiali, presenta una planimetria particolare, che lo accomuna ai complessi commerciali con luogo di culto, ovvero ai ginnasi con scholae. Molto simile è la cosiddetta biblioteca di Adriano ad Atene, sia per la facciata con ordine aggettante, sia per la disposizione interna degli spazi: l'edificio ateniese è stato interpretato come sede del proconsole romano e il complesso romano rappresentava probabilmente la sede del prefetto urbano.

Domiziano dovette di nuovo riparare alle conseguenze di un incendio, che nell'80, aveva interessato la parte della città tra Campo Marzio e Palatino, che gli diede l'occasione di una "riformulazione" dello spazio centrale della città. Sotto Augusto gli edifici imperiali avevano occupato il lato meridionale del Foro repubblicano, mentre il lato opposto era dominato da edifici senatori, riportando nello spazio urbano la "diarchia" imperatore-Senato. La costruzione del tempio dedicato al divo Vespasiano alle pendici del Campidoglo sovvertì questo ordine. Contemporaneamente venne spostata la zecca (moneta, negli edifici sotto San Clemente) e il tabularium dell'Aerarium Saturni (nei palazzi imperiali, tabularium principis). Al posto di quest'ultimo venne costruito il cosiddetto portico degli Dei consenti. Le sette taberne di questo, a cui si aggiunge un ottavo ambiente in funzione di sacello, sono da identificare con gli atria septem e la schola Xanthi (sede degli scrivani e degli araldi degli edili curuli). La sistematica demolizione delle prerogative del Senato e delle istituzioni repubblicane è soprattutto evidente nell'erezione dell'equus Domitiani, la colossale statua equestre collocata nella piazza del Foro in occasione del trionfo dell'imperatore sui Catti e sui Daci, alla quale è attribuibile un'iscrizione in distici elegiaci vista da Petrarca e da altri umanisti nel suo reimpiego in un muro al Laterano. La posizione della statua, rivolta verso il Palatino e in asse con il Colosso neroniano (trasformato in statua di Helios) accentua il suo significato di rottura del tradizionale equilibrio tra principe e Senato.

Un'altra area di intervento fu quella alle pendici del Palatino tra vicus Tuscus e vicus Iugarius, cerniera tra i palazzi imperiali e l'antica sede del potere repubblicano. Qui era stato spostato il luogo di affissione degli originali dei diplomi militari, che viene indicato post templum divi Augusti ad Minervam. Il tempio dedicato al divo Augusto, eretto da Tiberio, consacrato da Caligola, dedicato da Claudio anche a Livia e ricostruito da Domiziano dopo l'incendio, va distinto sia dal sacrarium eretto da Livia nel luogo di nascita del princeps (probabilmente il piccolo tempio rinvenuto negli scavi presso la Meta sudans[58]), sia dalla aedes Caesarum o templum Divorum in Palatio. La sua posizione era alle spalle della Basilica GIulia, nell'area occupata dall'ex convento della Consolazione (oggi caserma dei Vigili), dove un carotaggio ha indicato la presenza di una grande platea in calcestruzzo. L'edificio indicato con la formula ad Minervam va identificato con un grande complesso ncentrato su Santa Maria Antiqua, che doveva essere noto come atrium Minervae. La grande sala ancora in parte conservata è identificabile con la biblioteca Domus tiberiane (una rampa monumentale la collega alla Domus), la biblioteca annessa al tempio del Divo Augusto ricostruita e spostata da Domiziano. L'aula, forse coperta a volta, aveva un'eccezionale altezza e vi potè essere ospitata la colossale statua dell'Apollo Temenites da Siracusa, alta 50 piedi. Il legame di questa struttura con la Domus tiberiana va collegato alla funzione assunta da quest'ultima di sede ufficiale e pubblica dell'erede designato.

Gli interventi sulla via Sacra ribaltarono la situazione stabilita da Nerone, che ne aveva fatto un ingresso monumentale alla Domus aurea dal Foro, fiancheggiata da portici monumentali e dominata dalla sua statua colossale al centro dell'atrio di ingresso (dove oggi si trova il tempio di Venere e Roma e in corrispondenza dell'antica dimora familiare dei Domizi Enobarbi). Gli edifici che affiancavano la via Sacra furono riutilizzati per strutture utilitarie: gli horrea piperitaria (magazzini delle spezie, una sorta di grande farmacia di stato, collegata alla zona tradizionalmente sede delle attività mediche) e gli horrea Vespasiani (probabili magazzini per il frumentum publicum destinato alle distribuzioni gratuite), entrambi riportati sotto il controllo del palazzo imperiale secondo la politica accentratrice e demagogica dei Flavi.

Questa trasformazione rendeva necessaria la sistemazione di un nuovo ingresso ai palazzi imperiali sul Palatino. L'arco di Tito (che non si trovava sul percorso della via Sacra e non era propriamente un arco trionfale) era collegato alla via che saliva al Palatino dalla valle del Colosseo e rappresentava una porta di accesso monumentale: nel rilievo del sepolcro degli Haterii è rappresentato con all'interno del fornice una scalinata incurvata dominata da un simulacro di Cibele che simboleggia il tempio alla sommità del colle. Un secondo arco si trovava lungo il clivo Palatino e doveva avere la medesima funzione ed essere forse dedicato a Vespasiano. Il percorso poteva poi essere concluso da un terzo arco dedicato allo stesso Domiziano doveva trovarsi all'ingresso del palazzo imperiale.

Sempre sul Palatino, e in stretto collegamento con il palazzo imperiale, è il complesso della Vigna Barberini, occupato in seguito dal tempio di Eliagabalo, poi trasformato in tempio di Iuppiter Ultor da Alessandro Severo. La struttura, edficata sotto Vespasiano e Domiziano come vasta area a giardino, è identificabile con i Diaeta adonaea della Forma urbis severiana, sul modello dei giardini di Adone all'ingresso del palazzo reale di Alessandria. Sotto Adriano vi fu probabilmente sistemata la sepoltura di Antinoo. Il templum Divorum o aedes Caesarum, che doveva costituire una sorta di larario monumentale del palazzo imperiale, è identificabile con la struttura realizzata da Nerone sopra la casa di Augusto, una terrazza a cielo aperto con basi per statue e con un sacello di culto, simile alla struttura dell'aedes Divorum del Campo Marzio, eretta da Domiziano nel luogo in cui Vespasiano e Tito avevano passato la notte prima del loro trionfo congiunto.

Il templum Gentis Flaviae sorse in corrispondenza della seconda casa di Vespasiano a Roma, posta sul Quirinale presso quella del fratello Flavio Sabino, che era in corrispondenza della odierna chiesa di Santa Susanna. L'edificio si trovava nella zona poi occupata dalle terme di Diocleziano, come testimonia il luogo di ritrovamento dei rilievi Hartwig, e si può identificare con le strutture rinvenute sotto l'aula ottagona delle terme. Si trattava di un'area probabilmente porticata, con al centro una struttura a pianta centrale (tomba-tempio), che rimase in piedi nel recinto delle terme anche dopo l'eliminazione dell'area circostante per la costruzione di queste. Da qui doveva provenire l'obelisco di piazza Navona, che era stato reimpiegato, dopo lo smantellamento dell'area, nel circo di Massenzio, in un complesso che riproponeva l'idea di collegare la tomba dinastica con il tempio di culto imperiale.


Scultura

Di seguito si presenta una breve sintesi di due articoli (di Hölscher sui rilievi e di Zanker sui ritratti) che completano il quadro dell'arte monumentale flavia.

T. HÖLSCHER, "Rilievi provenienti da monumenti statali del tempo dei Flavi", 46-61

Con la presa di potere da parte di Vespasiano, questi dovette trovare nuovi elementi di legittimazione per la nuova dinastia, senza potersi appoggiare, come aveva fatto Augusto, sulla discendenza divina e sul prestigio della sua famiglia, ma esclusivamente sulle proprie imprese, evidenziando cioè il dominio universale su un mondo pacificato. I rilievi conservati sono essenzialmente opera di Domiziano: si conservano numerosi frammenti, ma difficilmente attribuibili ad un monumento preciso, anche in seguito alle probabili distruzioni dovute alla damnatio memoriae. Tra i monumenti più importanti sono i rilievi dell'arco di Tito e i due fregi della Cancelleria (rilavorati sostituendo a Domiziano i ritratti di Nerva e di Vespasiano, ma mai reimpiegati).

I monumenti celebravano le vittorie militari dell'imperatore (virtus) o rappresentavano scene di sacrificio (pietas) ed erano caratterizzati stilisticamente da un accentuato movimento e da enfasi emozionale. Venne incrementata la presenza accanto all'imperatore di figure di personificazioni e divinità, che innalzavano la figura imperiale oltre la sfera mortale, secondo un uso già conosciuto sotto Claudio. Ebbe anche importanza il tema dell'adventus. Si tratta in realtà di motivi tradizionali, in accordo al desiderio di mostrare la continuità con il passato, ma che vennero arricchiti e potenziati.


ZANKER, "Da Vespasiano a Domiziano. Immagine dei sovrani e moda", 62-67.

Il ritratto fortemente realistico di Vespasiano è in aperta rottura con le forme idealizzate e inespressive dei ritratti augustei. Accanto a questo, che tuttavia è il solo presente sulle emissioni monetali, circolava anche un ritratto in cui era raffigurato ringiovanito e con i tratti abbelliti. I ritratti di Tito e Domiziano accentuano la somiglianza fisiognomica con il padre, ma seguono la moda delle acconciature elaborate, introdotta già da Nerone (e con Domiziano utile a nascondere la precoce calvizie). La moda delle acconciature complicate si presenta anche nei ritratti femminili, con i ricci ammassati sopra la fronte, con impalcature sempre più massicce. Si tratta di acconciature così complicate che dovevano essere indossate come parrucche. La moda è seguita, più che indicata dalle principesse imperiali e manifesta una tendenza al lusso e alla voluttà che l'austerità di Vespasiano non valse a contrastare.


Con osservazioni su elementi di interesse per la decorazione architettonica in nota.

  • B. LEVICK, "La dinastia flavia", 14-23;
  • D. MANTOVANI, "La lex de imperio Vespasiani", 24-27;
  • H. M. COTTON, "L'impatto dell'esercito romano sulla provincia della Giudea", 28-33;
  • D. R. SCHWARTZ, "Flavio Giuseppe", 34-35;
  • D. BAHAT, "La guerra giudaica: un'immagine archeologica", 36-41;
  • G. FIRPO, "La guerra giudaica e l'ascesa di Vespasiano", 42-45:
  • Articoli già sintetizzati di Hölscher, di Zanker, di Coarelli (vedi sopra);
  • GROS, "La Roma dei Flavi. L'architettura", 98-109[59];
  • Articolo già sintetizzato di Pensabene e Caprioli sulla decorazione architettonica (vedi sopra);
  • MEOGROSSI, "La topografia dell'urbs per i velaria dell'amphiteatrum", 116-135;
  • R. REA, "Prima dell'anfiteatro e dopo il Colosseo: costruzione e distruzione. Note sulla statuaria", 136-151[60];
  • C. MOCCHEGIANI CARPANO, "Indagini nei collettori ipogei del Colosseo", 152-157;
  • Articolo già sintetizzato di Tucci sull'architettura del templum Pacis (vedi sopra);
  • M. GAGGIOTTI, "Templum Pacis: una nuova lettura", 168-175 (propone un collegamento tra il complesso romano e il tempio di Gerusalemme);
  • A. BRAVI, "Immagini adeguate: opere d'arte greche nel Templum Pacis", 176-183;
  • S. FOGAGNOLO, C. MOCCHEGGIANI CARPANO, "Nuove acquisizioni e ritrovamenti nell'aula di culto del Templum Pacis", 184-189[61];
  • R. MENEGHINI, A. CORSARO, B. PINNA CABONI, "Il Templum Pacis alla luce dei recenti scavi", 190-201[62]: all'interno il paragrafo sulla decorazione architettonica di Pinna Caboni, già sintetizzato (vedi sopra).
  • A. VISCOGLIOSI, "Il Foro Transitorio", 202-209 (riesame delle due fasi del Foro, con tempio sul lato ovest, poi spostato sul lato est, e dei valori architettonico-urbanistici dei due progetti);
  • F. ARATA, "I Flavi e il Campidoglio", 210-217[63];
  • L. TUCCI, "La sommità settentrionale del Campidoglio all'epoca dei Flavi", 218-221.
  • F. COARELLI, "Isis Capitolina", 222-223;
  • E. LA ROCCA, "Il Templum Gentis Flaviae, 224-233[64];
  • J. C. GRENIER, "L'obelisco di Domiziano a piazza Navona", 234-239;
  • I. IACOPI, G. TEDONE, "L'opera di Vespasiano sul Palatino", 240-245;
  • F. VILLEDIEU, "La Vigna Barberini in età flavia", 246-249;
  • R. MAR, "La Domus Flavia, utilizzo e funzioni del palazzo di Domiziano", 250-263;
  • C. KRAUSE, "La Domus Tiberiana in età flavia", 264-267:
  • U. WULF-RHEIDT, N. SOJC, "Evoluzione strutturale del Palatino sud-orientale in epoca flavia (Domus Augustana, Domus Severiana, Stadio)", 268-279[65];
  • S. FOGAGNOLO, "Rivestimenti marmorei del complesso palaziale di epoca flavia", 280-283[66];
  • M. A. TOMEI, "Il palazzo flavio e i suoi giardini", 284-289;
  • C. PANELLA, "Nuovi scavi sulle pendici del Palatino", 290-293;
  • N. SOJC, A. WINTERLING, "I banchetti nel palazzo imperiale in epoca flavia attraverso le testimonianze archeologiche e letterarie: tentativo di un'interpretazione interdisciplinare", 294-301;
  • A. WALLACE-HADRILL, "La corte flavia", 302-307.
  • B. VALLI, "Domiziano, i ludi saeculares e la città", 308-311;
  • C. HÄUBER, "Gli horti in età flavia", 312-319;
  • E. LO CASCIO, "L'amministrazione dell'Italia e delle province", 320-325;
  • H. VON HESBERG, "Le ville imperiali dei Flavi: Albanum Domitiani", 326-333;
  • M. MAIURO, "Rem publicam stabilire primo, deinde et ornare. La politica patrimoniale dei Flavi", 334-343;
  • D. FISHWICK, "Il culto imperiale", 344-347;
  • V. GASPARINI, "I culti egizi", 348-353;
  • R. NEUDECKER, "Il lusso in età flavia", 354-357;
  • S. RANUCCI, "La monetazione dei Flavi. Caratteri generali e aspetti tipologici", 358-367;
  • J. GONZÁLEZ, "La lex Irnitana e la formazione dei municipi flavi in Spagna", 368-371;
  • S. KEAY, "La trasformazione delle città nelle province iberiche", 372-377;
  • F. PESANDO, "Prima della catastrofe: Vespasiano e le città vesuviane", 378-385;
  • I. BRAGANTINI, "Le pitture dell'Augusteo di Ercolano", 386-391;
  • F. DE ANGELIS, "Il santuario di Iside a Pompei, 392-399.

Note

  1. Nella sintesi sui ritratti, di Zanker, riassunta più sotto, si sottolinea come con Nerone si sviluppasse un'acconciatura più elaborata rispetto alle semplici ciocche dei ritratti giulio-claudi, acconciatura poi ripresa da Tito e Domiziano: allo stesso modo nella decorazione architettonica si può evidenziare il gusto per una maggiore ricchezza decorativa sia nell'articolazione degli elementi degli ordini, sia nel disegno delle singole modanature.
  2. Figura 1 del testo; pubblicato da A. F. FERRANDES, "Tra valle e collina: il sistema sostruttivo neroniano e le sue trasformazioni", in C. PANELLA (a cura di), "Domus e insulae in Palatio. Scavi e ricerche sul Palatino nord-orientale", in Scienze dell'antichità, 12, 2006, p.41, fig.4.
  3. Come esempio della tradizione decorativa tardo augustea e primo tiberiana si citano gli esemplari della basilica Emilia pertinenti alla fase del 22 d.C., pubblicati in W. D. HEILMEYER, Korintische Normalkapitelle. Studien zur Geschichte der römischen Architekturdekoration (Römische Mitteilungen, suppl. 16), 1970, p.126, tav.44,3.
  4. Vengono citati un capitello corinzio di colonna reimpiegato in un restauro tardo delle terme del Foro di Ostia antica (P. PENSABENE, Scavi di Ostia VII: I capitelli, Roma 1973, 56, tav. XX, n.214; il capitello è pubblicato anche in P. PENSABENE, "Il programma architettonico del tempio di Roma e Augusto a Ostia", in S. RAMALLO ASENSIO (a cura di), La decoración arquitectónica en las ciudades romanas de occidente (congresso Cartagena 2003), Murcia 2004, fig.14) e di un esemplare da Cherchell (P. PENSABENE, Les chapiteaux de Cherchell. Étude de la décoration architectonique (Bulletin d’archéologie algérienne, supplément 3), Alger 1982, nn.27-28, 30-32). Nel testo si riportano questi capitelli come caratterizzati da un ancor maggiore appiattimento, ma in confronto all'esemplare della via Sacra, quello citato di Ostia, presenta i lobi delle foglie d'acanto ancora concavi, sebbene le fogliette siano piatte, e le solcature che distinguono costolatura centrale e nervature delle foglie della seconda corona arrivano fino alla base del capitello; anche il calicetto per lo stelo del fiore dell'abaco ha forme ancora plastiche, invece di essere ridotto ad una sagoma appiattita sullo sfondo, e persino gli orli dei calulicoli, più sottili, conservano una maggiore consistenza plastica. I nastri di elici e volute viceversa mancano di un orlo rilevato e della conclusione a chiocciola sporgente nell'occhio della voluta, pur conservando una leggera concavità del nastro. In ogni caso è presente anche in questo esemplare un certo grado di semplificazione nella resa plastica, proprio dell'epoca giulio-claudia. Sullo stile della decorazione tardo giulio-claudia per i capitelli si riporta anche il parere di Heilmeyer (HEILMEYER 1970, già citato, 133 e seguenti), secondo il quale non è possibile definire in modo chiaro lo stile decorativo di epoca claudia e neroniana, per il quale mancano esempi sicuramente datati: Heilmeyer cita solo un capitello ipoteticamente attribuito dal Kähler (H. KÄHLER, Die römischen Kapitelle des Rheingebietes, Berlin 1939, 13, fig.3.6) all'arco di Claudio sulla via Lata e un capitello composito dell'atrium Vestae, attribuito al rifacimento neroniano dallo Strong (D. E. STRONG, "Some early examples of the composite capital", in Journal of Roman Studies, 50, 1960, 127, tav.15,3)
  5. L. LUPI, in A. GIULIANO (a cura di), "Museo Nazionale Romano. Le Sculture. I,11. Magazzini. I capitelli, n.4, pp.2-3. In questo esemplare la concavità dei lobi si raccoglie nella profonda solcatura di trapano, ancora leggermente arcuata, che distingue le nervature, esse stesse ancora più sottili e non del tutto appiattite; i solchi di trapano non arrivano alla base del capitello nelle foglie della seconda corona, i nastri di elici e volute sono quasi del tutto piatti e privi di bordi rilevati, ma con terminazione a chiocciola sporgente nell'occhio della voluta, mentre è semplificata, con leggere solcature non approfondite la decorazione dei caulicoli e il calicetto per lo stelo del fiore dell'abaco è sostituito da una piatta foglia ovale appuntita, con solcatura centrale. Alla semplificazione plastica già evidenziata si aggiunge il gusto per un accentuato contrasto chiaroscurale.
  6. HEILMEYER 1970, già citato, 129, tav.47,1-2 (che li inquadra nella prosecuzione della decorazione medio-augustea) e P. PENSABENE, "Nota sul reimpiego e il recupero dell'antico in Puglia e Campania tra V e IX secolo", in Incontri di popoli e culture tra V e IX secolo. Atti delle V Giornate di studio sull'età romanobarbarica (convegno Benevento 1997), Napoli 1998, 203.
  7. PENSABENE 1973, già citato, 61-62, tav.XXII, nn.232-234. I capitelli sono datati in epoca adrianea da Freyberger (K. FREYBERGER, Stradtrömische Kapitelle aus der Zeit von Domitian bis Alexander Severus. Zur Arbeitsweise und Organisation stadrömischenr Werkstätten der Kaiserzeit, Mainz 1990, 74, tav.24 b).
  8. N. 112 del catalogo, con scheda riassunta più sotto.
  9. N. 40 del catalogo, con scheda riassunta più sotto
  10. Il capitello si distingue da quello neroniano della via Sacra soprattutto per i profondi solchi di trapano tra le nervature della foglia e per l'orlo dei caulicoli decorato a fogliette, ma anche per la concavità dei lobi e dei nastri di volute ed elici: non si tratta più di una semplificazione della resa plastica per motivi di rapidità di lavorazione, ma di una precisa scelta stilistica, che privilegia l'effetto di insieme determinato dai forti contrasti chiaroscurali.
  11. Questa standardizzazione nelle officine si differenzia dalle modalità di lavoro più individuali evidenziate nlle numerose piccole varianti tra le diverse mani degi singoli scalpellini presenti nella decorazione augustea, per esempio del foro di Augusto (L. UNGARO, "La decorazione architettonica del Foro di Augusto a Roma", in S. RAMALLO ASENSIO (a cura di), La decoración arquitectónica en las ciudades romanas de occidente (congresso Cartagena 2003), Murcia 2004, 27 e 30, figg.15 e 20) o nei capitelli del teatro di Cartagena (S. RAMALLO ASENSIO, "La decoración arquitectónica de época augústea en Cartagena", negli stessi atti del congresso di Cartagena già citati, 172, fig.18).
  12. Nn. catalogo 101 e 105-106, con schede riassunte più sotto, nella sezione "Elementi di rivestimento dal Palatino"
  13. Figura 5 nel testo, con la cornice della trabeazione della peristasi ricomposta e completata in stucco nella galleria del Tabularium nei Musei capitolini
  14. Dall'alto sono presenti una grande sima ad anthemion, una corona decorata da un motivo a can corrente con rosette nella spirale terminale e spazi intermedi occupati da semipalmette; persino il soffitto è decorato da un motivo a squame su tre file. Nella sottocornice si susseguono kyma ionico, dentelli e kyma ionico, separati da sottili listelli, terminando con uno Spitzenstab con fogliette rovesce triangolari segnate al centro da un breve tratto di trapano.
  15. In questo frammento la connessione arcuata dell'archetto è ridotta e il contorno interno è semplificato in forma di stretto triangolo (privo del forellino di trapano all'estremità), mentre un triangolo ancora più stretto rende lo spazio tra gli archetti: il motivo tende a perdere l'individualità degli archetti per trasformarsi quasi in un motivo a zig-zag (lo impedisce solo la punta della foglia, ancora visibile, che rappresenta l'elemento interno agli archetti); nel testo è anche citato un frammento di cornice con mensole dal templum Pacis. Per l'evoluzione delle forme del kyma lesbio: J. GANZERT, "Zur Entwicklung lesbischer Kymationsformen", in Jahrbuch des Deutschen Archäologischen Instituts, 98, 1983, 196 e ss.
  16. Nel testo si cita una cornice dal teatro della villa di Domiziano a Castel Gandolfo (presentata alla figura 9), che tuttavia mostra sulla sima un anthemion.
  17. N. catalogo 37. L'elemento conserva il coronamento con anthemion e astragalo a fusarole e perline e un kyma lesbio continuo vegetalizzato come modanatura di separazione tra prima e seconda fascia, mentre la modanatura tra seconda e terza fascia non è conservata, ma presente nell'altro elemento del medesimo fregio copiato per i restauri di epoca severiana in marmo proconnesio, dove è costituita da un astragalo a fusarole e perline. Il fregio architrave di epoca severiana compare alla figura 14 in questo articolo (particolare dell'architrave) e alla figura 15 a p.198 nell'articolo di Pinna Caboni sulla decorazione del templum Pacis, sintetizzato più oltre. Nel testo i due elementi sono attribuiti ai portici del complesso, mentre, a causa dell'andamento dei blocchi, pertinenti ad una trabeazione articolata in avancorpi e alle dimensioni che non si accordano alle proporzioni ricostruibili per l'ordine dei portici, è ipotizzata una sua attribuzione ad un ninfeo rinvenuto negli scavi e collocato nell'area di risulta tra il templum Pacis e la basilica Emilia nell'articolo di Pinna Caboni sintetizzato più sotto (p.198).
  18. MotivoOcchialiSchema.jpg
    Il motivo viene descritto come una sbarretta nella quale siano stati ricavati due forellini di trapano affiancati, ma questa descrizione non corrisponde affatto alla struttura di questa decorazione, tipica dell'epoca flavia. La sbarretta si trasforma infatti in un motivo arcuato, sotto il quale sono presenti due anellini: la realizzazione del motivo richiede una lavorazione assai più raffinata, che produce in alcuni casi anellini sottilissimi, lavorati a giorno, che in molti casi si presentano ormai spezzati.
  19. Lacunare dell'architrave della peristasi del tempio di Vespasiano
    Si tende a perdere il ricordo della originaria funzione tettonica e strutturale dei dentelli nella cornice ionica, per farli divenire una decorazione pari a tutte le altre. Questa perdita di significato si accentua notevolmente in età flavia, e i dentelli vengono ormai utilizzati anche come incorniciatura, ad esempio nei lacunari del tempio di Vespasiano.
  20. A proposito di queste variazioni dimensionali è citato S. DE ANGELI, Templum Divi Vespasiani, Roma 1992, 153-154.
  21. F. CAPRIOLI, Vesta Aeterna: L'aedes Vestae e la sua decorazione architettonica, Roma 2007, 151-157: i capitelli sono datati alla seconda metà del II secolo (fase adrianea) con numerosi piccoli restauri forse attribuibili successiva fase severiana e presentano motivi ripresi dalla tradizione flavia (i caulicoli inclinati, l'accentuato chiaroscuro dei fitti solchi verticali tra le nervature delle foglie, lo sviluppo delle spirali terminali di elici e volute) uniti ad una generale semplificazione del modellato.
  22. L'articolo di Pensabene e Caprioli non sembra accennarvi esplicitamente.
  23. La ricostruzione con venti colonne era stata elaborata in base alla Forma urbis severiana, ma Tucci non fornisce in questa sede motivazioni per il diverso calcolo dell'interasse che permette di ricostruirne un numero maggiore, nè indica dati archeologici sui quali si potrebbe basare il riconoscimento di una imprecisione della Forma urbis.
  24. Da notare, tuttavia che nel caso di una trabeazione in pendenza dovremmo immaginare che questa anomalia influisse sul disegno degli elementi architettonici dell'ordine, per esempio con capitelli con abaco obliquo, come quelli dorici delle rampe del santuario di Palestrina.
  25. Si tratterebbe della medesima altezza dei portici, ma le misure non sembrerebbero corrispondere con l'altezza complessiva di questi, in quanto i fusti ad essi pertinenti sono di circa 30 piedi di altezza secondo quanto ricostruito dagli scavatori (vedi sintesi dell'articolo di Pinna Caboni).
  26. In questa ricostruzione dimensionale vengono citati anche i fusti colossali che erano stati attribuiti al tempio di Traiano (oggi attribuiti ad un propileo di ingresso sul lato nord del complesso) ma fornendo delle misure che non corrispondono a quanto riscontrabile sui pochi resti conservati (e presumibilmente con dati ricavati dalla ricostruzione di J. Packer, ma senza indicare la fonte). Ai fusti in granito grigio viene attribuito un diametro di 6 piedi e un'altezza di 50 piedi, misurati con un piede di 29,38: il diametro inferiore risulterebbe dunque pari a 176,3 cm , mentre era stato ricostruito, sulla base della misura del sommoscapo, conservata in due esemplari, in 190 cm (pari a 6 piedi e 1/2 secondo la misura classica del piede romano di circa 29,6 cm). I fusti possono essere ugualmente ricostruiti di 50 piedi di altezza in base alle proporzioni dei fusti delle navate al primo ordine della Basilica Ulpia, nello stesso materiale, di cui si conserva un esemplare intero.
  27. N. catalogo 35, con scheda riassunta più sotto.
  28. N. catalogo 36, con scheda riassunta più sotto.
  29. Come invece è riportato nell'articolo di Pensabene-Caprioli.
  30. Il diametro di base del fusto corrisponde a 106 cm: ipotizzando una proporzione tra diametro di base e altezza tra 1:8 e 1:9 avrebbero dunque raggiunto un'altezza tra 8,48 e 9,54 m. La misura del diametro inferiore corrisponde a più di 3 piedi e 1/2 (che sono 103,6 cm con piede di 29,6 e poco meno di 104 con il piede di 29,7 ipotizzato da Tucci per il progetto del complesso) e in altezza i fusti raggiungerebbero dunque tra i 28 e i 32 piedi (ossia tra gli 8,29 e i 9,47 m con piede da 29,6 cm, ovvero tra gli 8,32 e i 9,5 m con il piede da 29,7 cm).
  31. L'altezza della base è riferita come di 56 cm: questa misura non corrisponde ad una misura precisa in piedi romani, ma poiché si aggiunge che se ne sono rinvenuti solo frammenti che non hanno permesso di identificare se si trattasse di basi attiche o composite, è forse possibile che la misura sia ricostruita e non misurata e che si possa ipotizzare una base di 1 piede e 3/4, pari a circa 52 cm, di altezza.
  32. L'altezza del capitello è di 113 cm, corrispondente a poco più di 3 piedi e 3/4.
  33. L'altezza della colonna potrebbe corrispondere a circa 35 piedi e 1/2 (tra 10,51 e 10,54 m).
  34. Il diametro inferiore corrisponde a 128 cm (4 piedi e 1/3), con un'altezza ricostruibile tra 10,24 m (rapporto tra diametro e altezza di 1:8, poco più di 34 piedi e 1/2) e 11,52 m (non 11,70 come indicato; rapporto tra diametro e altezza di 1:9, pari a poco meno di 39 p).
  35. La base dei fusti in marmo africano del lato meridionale è ricostruita di 68 cm di altezza (circa 2 piedi e 1/3)
  36. L'altezza del capitello è ricostruita di 136 cm (poco più di 4 piedi e 1/2).
  37. Le misure ricostruite per l'altezza complessiva della colonna possono dunque variare tra 41 piedi e 1/2 e circa 46 piedi e 1/2.
  38. Il fianco destro del blocco di cui si conserva un tratto della superficie, era situato accanto alla protome piena, e dunque probabilmente collocato in corrispondenza dell'intercolumnio: gli elementi delle cornici erano disposti sfalsati rispetto ai sottostanti architravi per evitare la sovrapposizione dei giunti fra i blocchi.
  39. Non dovrebbe tuttavia trattarsi della cornice della trabeazione principale, che di solito negli archi è una cornice con mensole, mentre la cornice di imposta si presenta solitamente in forma di coronamento, priva cioè di soffitto.
  40. In base soprattutto a questa perdita di funzione tettonica Mattern (T. MATTERN, Gesims und Ornament. Zur stadtrömischen Architektur von der Republik bis Septimius Severus, Münster 2001, 202, tav.56,2) propone una datazione all'età severiana. Secondo Leon (C. LEON, Die Bauornamentik des Trajansforum und ihre Stellung in der früh-und mittelkaiserzeitlichen Architekturdekoration Rom, Wien-Köln-Gratz 1971, 118-119, tav.41,4), il frammento è attribuibile all'epoca tardo-domizianea e vi si ritrova, portata agli estremi, la tendenza a moltiplicare le modanature decorate nella sottocornice, che evidenzia la perdita della funzione tettonica a favore di una puramente decorativa; viene citato insieme ad un altro frammento che conserva la sottocornice di un elemento angolare (tav.41,3, considerato uguale all'elemento oggetto della scheda, ma nel quale la modanatura inferiore sembra tuttavia diversa). Anche Strong (D. E. STRONG, "Late Hadrianic Architectural Ornament in Rome", in British School at Rome. Papers, 21, 1953, 151) data la cornice in epoca domizianea. Vedi anche CAPRIOLI 2007, citato, 29.
  41. Nel volume figura 15 a p.198 dell'articolo di Pinna Caboni sopra sintetizzato; un particolare con l'architrave dello stesso pezzo è alla figura 14 a p.114 dell'articolo di Pensabene e Caprioli, mentre la figura 8 a p.113 riproduce ancora l'elemento oggetto di questa scheda.
  42. La curvatura ha un diametro di di circa 36 piedi e 1/2, pari a 10,80 m. In base a questa misura potrebbe essere ipotizzata con qualche incertezza nell'esedra sul lato lungo orientale
  43. Proporzionalmente il fregio-architrave doveva essere pertinente ad un ordine con fusti di circa 1 piede e 1/2 di diametro, pari a circa 44 cm).
  44. Per una immagine del fregio ripreso frontalmente nel 1910 (quando il blocco era esposto presso il Museo nazionale romano alle terme di Diocleziano), vedi scheda dell'archivio on line di Geltrude Bell (Newcastle University).
  45. La datazione in epoca domizianea tradizionale sembra tuttavia preferibile, viste le nette somiglianze della decorazione con elementi dal Foro di Cesare: il kyma di foglie con piccoli calici a due foglie intermedi richiama l'incorniciatura superiore dei pannelli con Amorini, mentre l'insieme del lacunare ricorda quello del fregio attribuito al primo ordine interno della cella del tempio di Venere Genitrice e il disegno delle foglie di vite, che si incurvano a coprire i grappoli è assai simile a quello dei pannelli con tralci di vite, pure attribuiti alla decorazione del tempio.
  46. La differenza rispetto alla canonica successione di modanature del coronamento dell'architrave e in particolare la sottigliezza del listello che dovrebbe rappresentare la taenia, farebbero pensare più ad un'incorniciatura di un pannello decorativo che ad un fregio-architrave pertinente ad un ordine architettonico.
  47. G. A. GUATTANI, Monumenti antichi inediti, 1785.
  48. M. A. TOMEI, Museo Palatino, Milano 1997, 82, n.56; M. MATHEA FÖRTSCH, Römische Rankenpfeiler und -pilaster: Schmuckstützen mit vegetabilen Dekor, vornehmlich aus Italien und den westlichen Provinzen (Beiträge zur Erschliessung hellenistischer und kaiserzeitlicher Skulptur und Architektur, 17), Mainz 1999, 54-55 e 144.
  49. Soprattutto per i capitelli con cornucopie, per il trattamento dei particolari delle ghirlande e per la resa dell'acanto : H. VON HESBERG, "Die Domus Imperatoris der neronischen Zeit auf dem Palatin", in A. HOFFMANN, U. WULF (a cura di), Die Kaiserpaläste auf dem Palatin in Rom, Mainz 2004, 71-72.
  50. S. FOGAGNOLO, "Esempi di schemi decorativi dell'opus sectile parietale dalla zona inferiore della Domus Augustana sul Palatino", in Atti del XIV colloquio dell'Associazione italiana per lo studio e la conservazione del mosaico (convegno, Spoleto 2008), Tivoli 2009, 489-500.
  51. La modanatura è intagliata su un ovolo liscio, che viene indicato nella scheda, impropriamente, come "echino".
  52. Nella scheda è interpretata come la metà di una palmetta intera.
  53. Il motivo della semipalmetta nello schema a doppia S si ritrova in un capitello sporadico da Ostia ugualmente di piccole dimensioni, ma in rosso antico e con intaglio più raffinato, datato all'età adrianea: P. PENSABENE 1973, già citato, 156, tav.LX, n.639, dove vengono citati anche altri capitelli simili dal Capitolium di Luni, da Villa Adriana (con immagine pubblicata alla tav. D.9), in marmo bianco, e ai Musei vaticani ( K. RONCZEWSKI , "Römische Kapitelle mit pflanzlischen Voluten", in Archäologischer Anzeiger, 1931, 99, fig.91, n.9).
  54. Non sembrano essere romboidali come riportato nella scheda
  55. Date le piccole dimensioni le alette della punta sono rese con due sottili tratti di marmo risparmiati quasi orizzontali e l'elemento intermedio è riportato nella scheda come lancetta.
  56. Nella scheda la decorazione è indicata come un astragalo a fusarole e perline
  57. Nella scheda quanto rimante del fusto decorato viene descritto come l'incorniciatura del rilievo costituita da un kyma a foglie e da girali.
  58. Nel suo articolo sullo stesso catalogo la Panella sembra identificarlo invece con le Curiae veteres.
  59. Nell'articolo di GROS si parla (107) di un restauro domizianeo del Foro di Cesare e dell'inizio dei lavori per il Foro di Traiano, non limitato al solo sbancamento. In particolare si citano gli architravi in marmo pentelico della fila delle colonne che separava le navate laterali della Basilica Ulpia, ipotizzando che appartenessero ad una fase domizianea dell'edificio, interrotta. L'ipotesi è tuttavia certamente smentita dallo stile decorativo di questi architravi, pienamente coerente, nella scelta della partizione decorativa in tre fasce separate da astragali e con coronamento a listello-kyma lesbio trilobato-astragalo, con la scelta di riprendere il disegno più sobrio della decorazione augustea, propria di tutti gli elementi del Foro di Traiano.
  60. Tra i frammenti di scultura provenienti dal Colosseo è citata (149, fig.40) anche una "lastra di rivestimento in pavonazzetto", scanalata, attribuita al rivestimento dei palchi imperiali. Dalla foto sembrerebbe essere una lesena scanalata con tondini, con scanalature a profilo complesso: la concavità delle scanalature è infatti resta con due gole diritte che mediano tra il listello di separazione, a sua volta occupato da uno spesso tondino, e la stretta fascia incavata che ne costituisce il fondo. Esistono confronti di fusti di colonna con simili, ma non uguali, scanalature a profilo complesso: uno in pavonazzetto è esposto nel cortile del palazzo dei Conservatori (Musei capitolini) e presenta una sorta di cavetto, limitato internamente da un sottile tondino, al posto della gola diritta; un altro si conserva presso Porta Marina, simile al precedente, ma con parte centrale a rilievo invece che incavata (citato, ma non esaminato in dettaglio da PENSABENE, Ostiensium marmorum decus et decor (Studi miscellanei, 33), Roma 2007; 532, fig.155,3). Un esempio, probabilmente precedente e meno complicato è una lastra di rivestimento per una lesena in marmo pavonazzetto attribuita al tempio di Bellona, con piatte scanalature separate da un triplice tondino (M. DE NUCCIO, "Lesena rivestimento di pilastro", in M. DE NUCCIO, L. UNGARO (a cura di), I marmi colorati della Roma imperiale, Venezia 2002, 421-422, n.135).
  61. Nell'articolo viene citato (188) il ritrovamento di una grande quantità di materiale architettonico, tra cui frammenti pertinenti ai capitelli corinzi in marmo proconnesio del portico ed altri pertinenti al rivestimento parietale dell'aula di culto, tra cui frammenti di capitelli figurati di lesena, esposti in mostra (nn.catalogo 39 e 40). I grandi fusti monolitici in sienite sono attribuiti già alla fase vespasianea, a seguito delle difficoltà che avrebbe comportato il loro trasporto in epoca severiana. La scelta di un materiale egizio viene ascritta al particolare legame di Vespasiano con questa provincia.
  62. Gli scavi più recenti hanno evidenziato due fasi di costruzione del lato settentrionale della piazza, che in origine doveva presentare un portico simile agli altri tre lati, poi eliminato o in seguito ad un ripensamento di Vespasiano o per la decisione di costruire il Foro Transitorio da parte di Domiziano. All'interno dei portici correva inoltre longitudinalmente una transenna in marmo cipollino, destinata forse a separare gli spettatori dalla parte più interna dove dovevano essere collocate le opere d'arte raccolte.
  63. Alla ricostruzione domizianea dopo l'incendio dell'80 sono attribuiti senza certezze alcuni frammenti architettonici in marmo pentelico rinvenuti in varie occasioni e relativi a un fusto scanalato, ad una base composita (indicata come ionica a doppia scozia), ad una lesena e ad un capitello corinzio
  64. Si cita il rinvenimento nel 1871-1872, in scavi sotto il Ministero delle finanze di grandi elementi di cornice, che sono ritenuti pertinenti al templum (225) e si riporta l'attribuzione all'edificio da parte della Candilio di alcune mensole con aquila reimpiegate nella natatio delle terme di Diocleziano (230).
  65. Vengono citati studi inediti sulla decorazione architettonica dello stadio (K. IARA, L'ornamento architettonico dell'ippodromo nel palazzo imperiale sul Palatino a Roma, tesi di dottorato, Universität Köln 2007, citato alla nota 6) e sugli elementi architettonici della Domus Augustana (C. VOIGTS, Domus Augustana. Bauteilkatalog (Technische Universität München), citato da K. FREYBERGER, Stadtrömische Kapitelle aus der Zeit von Domitian bis Alexander Severus. Zur Arbeitsweise und Organisation stadtrömischer Werkstätten der Kaiserzeit, Mainz am Rhein, 1990, 87).
  66. Alcuni dei pezzi esposti in mostra sono inquadrati nella ricostruzione del rivestimento pavimentale e parietale in marmo del livello inferiore della Domus Augustana; si cita inoltre una loro datazione in età neroniana da parte di H. VON HESBERG, "DIe Domus Imperatoris der neronischen Zeti auf dem Palatin", in A. HOFFMANN, U. WULF (a cura di), Die Kaiserpalätze auf dem Palatin in Rom, Mainz 2004, 69-72.